È arrivata la quarta ondata
In terapia intensiva due non vaccinati

Sono trenta i pazienti ricoverati al Sant’Anna - L’identikit? Sono soprattutto persone non immunizzate - Non è stato necessario attivare il reparto per i più gravi

La quarta ondata, così come era attesa, è arrivata. E oggi, si contano circa trenta pazienti Covid ricoverati al Sant’Anna. Certo, la situazione è fortunatamente ben lontana da quanto si registrava nel novembre 2020: 375 pazienti, mentre 32 si trovavano in rianimazione.

E questo, dimostrano i dati, non si può che imputare al vaccino. «L’identikit dei pazienti? Sono soprattutto non vaccinati, e la situazione è peggiore per chi ha più di 60 anni», spiega il primario delle Malattie infettive dell’Asst Lariana Luigi Pusterla. Attualmente, la Regione non ha ritenuto di dover attivare la terapia intensiva Covid a Como. «Almeno due persone - precisa Pusterla - si trovano in terapia intensiva, in hub presenti in altre città. Sono pazienti non vaccinati».

Negli ultimi giorni, ci sono poi state ulteriori decessi anche nel Comasco. Tre nel fine settimana. Erano «persone anziane - precisa il medico - che avevano anche altre patologie non correlate al Covid». I numeri, quest’anno, sono fortunatamente molto bassi rispetto al 2020 quando «per gli over 80, la letalità era al 40%».

I vaccinati? Paucisintomatici

L’arrivo della quarta ondata non ha stupito il primario. «Un incremento dei casi era atteso, perché la stagione fredda favorisce la diffusione dei virus respiratori, come l’infuenza e il Covid». Se a oggi, nei reparti dedicati si trovano praticamente solo non vaccinati, si ipotizza già che arrivino anche pazienti che invece le dosi previste le hanno ricevute. Ma con un quadro medico diverso: «Sostanzialmente, sono paucisintomatici, proprio grazie al vaccino», assicura l’esperto. A livello regionale, prosegue, nei 18 hub «ci sono circa 430 ricoverati, con una distribuzione a macchia di leopardo, e ci sono dai più giovani non vaccinati agli anziani che ancora non hanno ricevuto la terza dose».

L’inoculazione, ha rimarcato Pusterla basandosi sulla letteratura, «riduce del 90% la possibilità di finire in rianimazione, e del 75% circa la possibilità di contagiare». Certo, la somministrazione non elimina completamente il rischio di essere contagiati o diffondere il virus, come quando ci si immunizza contro l’influenza. Ma le percentuali offerte dal primario sulla manifestazione delle forme più gravi o la diffusione sono chiare: «La carica virale è più bassa, perché intervengono gli anticorpi». Poi certo, ha precisato ancora, la capacità immunitaria dei singoli è un altro discorso. «Il paradosso - ha proseguito - è che essendo talmente alto il numero di vaccinati, in futuro potrebbe verificarsi una situazione in cui ci siano ricoverati solo loro». E questo è legato al fatto che «chi fa il vaccino protegge anche gli altri».

No vax nati nel 1860

I primi no vax, ricorda il primario, «risalgono al 1860, ed erano i contrari al vaccino per il vaiolo. Dicevano le stesse cose che si dicono adesso: cosa mi stai iniettando, è meglio contrarre l’infezione», fino ai complotti sull’arricchimento delle case farmaceutiche.

«È invece importante sensibilizzare le persone, gli indecisi, sul ricevere la terza dose appena è possibile». Ma, ribadisce ancora Pusterla, la vaccinazione non è un “liberi tutti”. «Si devono mantenere le precauzioni, ricordiamoci che siamo in Europa, guardiamo cosa sta accadendo in altri Paesi, come l’Austria o la Germania». Quindi, «usciamo, viviamo, ma facciamo tutti un po’ più di attenzione».

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