Il piccolo ospedale degli ultimi
Eccellenza di bontà a Como

Gli speciali di Diogene / Tra i luoghi del cuore di don Malgesini, l’ambulatorio “Casa Santa Luisa” offre assistenza a chi vive per strada

Tra cocci di bottiglia rimasti incastrati nelle ferite e più comuni iniezioni di insulina, all’ambulatorio “Casa Santa Luisa”, in via Rezia 5 a Como, si trova sempre qualcuno pronto a prestare assistenza sanitaria a chi è in difficoltà nel trovare aiuto, a causa della propria condizione di estrema marginalità sociale.

Da questa volontà di garantire le cure mediche a tutti e soprattutto agli ultimi, perlopiù extracomunitari o persone senza fissa dimora, è nato nel 1991 l’ambulatorio nella parrocchia di San Bartolomeo, dove ad oggi una ventina di volontari, in prevalenza medici specialisti, mette le proprie competenze con gratuità al servizio degli altri. «Per l’attività, svolta con dedizione e amore incondizionato da oltre 25 anni, a favore di coloro che, posti ai margini della società e senza mezzi per ottenere adeguata assistenza medica, trovano nella “Casa Santa Luisa” un rifugio sicuro di accoglienza e assistenza sanitaria»: questa la motivazione alla base del premio alla benemerenza in nome di don Roberto Malgesini attribuito ai volontari dell’ambulatorio lo scorso sabato da parte dell’Amministrazione provinciale di Como.

Oltre mille visite all’anno

Per i primi cinque anni dalla donazione dell’edificio, di proprietà della comunità delle suore vincenziane, l’ambulatorio, guidato allora da Elena Moretti, medico comasco, si è configurato come un ambulatorio di quartiere a disposizione delle nuove povertà. Ma con gli anni e l’aggravarsi delle condizioni di chi a Como è socialmente emarginato il suo bacino d’utenza è cresciuto ben oltre i confini della parrocchia. Oggi sono quasi mille le visite praticate ogni anno a stranieri, persone senza fissa dimora, anziani soli e anche tanti comaschi in difficoltà, per un totale di 400 utenti. Un numero impressionante considerati gli spazi messi a disposizione dei medici volontari da parte delle suore vincenziane, rappresentate da suor Marina Baioni che si occupa di prestare assistenza infermieristica e di aprire l’ambulatorio ogni mattina. Ancora più sorprendente è pensare che trent’anni fa in questo piccolo edificio c’erano solo tre lettini e una lunga fila di persone in attesa fuori dalla porta. Per gestire un così grande numero di pazienti e organizzare al meglio il tempo dei medici è diventata fondamentale l’assistenza prestata, a partire dal 2000, da Asci don Guanella che si occupa di gestire, tramite il servizio cittadino di “Porta Aperta”, il numero delle visite, limitandole a un massimo di otto al giorno.

Il ruolo di don Roberto

«I veri volontari sono i medici – spiega Marco Vendramin, di Asci don Guanella– senza il loro tempo e la loro professionalità niente di tutto questo sarebbe possibile». Anche perché, come racconta la dottoressa Maria Novella Del Sordo, figlia della fondatrice dell’ambulatorio, non sempre le situazioni di chi chiede assistenza sono semplici ed è quindi un bene che ci siano diversi specialisti capaci di prestare l’attenzione adeguata. Alle cure specifiche si aggiunge però la necessità di mettersi integralmente a disposizione di chi cerca aiuto: «Necessari sono l’ascolto e la comunicazione – spiega la dottoressa Del Sordo – perché bisogna curare l’anima oltre alla ferita del corpo e per conquistare la fiducia di questi pazienti dobbiamo presentarci come persone che vogliono aiutare altri a prevenire e guarire, a integrarsi per vivere meglio tutti insieme».

Una missione nella quale don Roberto rivestiva un ruolo fondamentale che nessuno dopo la sua morte ha saputo riprodurre. A raccontarlo è suor Marina, che di lui ricorda con affetto l’impegno profuso non solo nel cercare le persone per strada e portarle in ambulatorio in caso di necessità, ma anche nel seguirne la terapia dopo la prima visita, per assicurarsi che continuassero la cura: «Andava davvero a cercare i poveri e si preoccupava anche delle tante ragazze finite nel giro della prostituzione: faceva come San Vincenzo». Nelle stanze dell’ambulatorio oggi ampliate e risistemate per rispondere alla crescente richiesta di assistenza sanitaria – una saletta d’attesa e un piccolo studio al piano terra oltre a una sala per le visite specialistiche al piano superiore, con ecografo e lettino per visite ginecologiche – don Roberto è ovunque: il suo volto sorride dalle tante foto appese ai muri, dove è ritratto da solo o con alcuni dei pazienti più difficili da gestire, quelli che solo lui riusciva a convincere a farsi aiutare, recuperandoli letteralmente dagli angoli più bui della città. Ma soprattutto don Roberto è nel ricordo dei volontari dell’ambulatorio che dalla sua carità gratuita ogni giorno continuano a farsi ispirare per continuare a mappare e curare le malattie ignorate e i malati dimenticati della città.

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