«Lucini cercò di salvare il lungolago
Ecco perché merita di essere assolto»

L’arringa del difensore dell’ex sindaco: «Avrebbe potuto bloccare tutto. E si sarebbe risparmiato queste accuse. Non ci fu mai intenzione di commettere reati»

Mario Lucini tentò in tutti i modi di «salvare il salvabile», di evitare alla città un ennesimo supplizio, quando invece logica e circostanze - e interesse politico - avrebbero potuto spingerlo a risolvere il contratto con Sacaim, salvo poi attribuirne le colpe ai tecnici, al sindaco di prima, alla Regione, all’amministrazione precedente, e insomma risparmiandosi anche «due anni di processo e di accuse totalmente infondate».

Lo ha detto ieri mattina, al culmine di tre ore e mezza di arringa, l’avvocato Andrea Panzeri, il legale che con Ernesto Lanni condivide la difesa dell’ex sindaco nel processo per le paratie, ormai alle battute finali (la sentenza è attesa per la metà di gennaio).

Chiaro, diretto, interessante e scenografico senza strafare, Panzeri ha concluso invocando, per l’ex primo cittadino, una «assoluzione con la formula più ampia» e senza richieste subordinate, cioè senza quell’appendice di formule di condanna alternative e attenuate rispetto alle richieste dell’accusa che di solito gli avvocati “suggeriscono” al tribunale quando indovinano che un’assoluzione sarà improbabile.

No, per Lucini no, un piano B non è contemplato. Perché, ha detto il suo avvocato, «non ci fu mai da parte sua alcuna intenzione di violare norme penali». Quel che fu fatto, le decisioni che furono assunte, furono sempre non solo legittime ma anche prese nell’interesse della pubblica amministrazione.

Panzeri ha insistito molto sul nodo della buona fede, una buona fede mai incosciente, mai naif o dilettantesca, ma sempre motivata.

Per dire: «Non sta in piedi la tesi di un artificioso frazionamento degli incarichi di progettazione - ha scandito l’avvocato in relazione al presunto espediente cui l’amministrazione ricorse per non essere costretta a indire una nuova gara d’appalto -. È ovvio che il problema (della percorribilità della soluzione, ndr) fu affrontato, ovvio che gli amministratori se lo posero, ma lo fecero in quanto professionisti scrupolosi e preparati... Si svolse una riunione, se ne discusse, l’avvocato Marciano (responsabile dell’ufficio legale di palazzo, ndr) manifestò delle perplessità, poi però la riunione si concluse nel convincimento che si potesse fare. Se di fronte alla perplessità dell’avvocato Marciano si fosse deciso di procedere all’espletamento di una gara, davvero si sarebbe fatto l’interesse della pubblica amministrazione? O si sarebbe cagionato un danno economico?». E ancora: Lucini ingannò la “sua” giunta? Ma quando mai. Ancora Panzeri ha ricordato la testimonianza dell’ex assessore Lorenzo Spallino, entrato in aula a raccontare che in quella giunta suo era il compito di tradurre le relazioni tecniche dal “legalese” all’italiano: «E potrebbe mai essere stato ingannato da Lucini colui il quale gli traduceva gli atti?». Per non dire della visita a Raffaele Cantone, capo dell’Anticorruzione («interlocuzione più corretta non poteva esserci, il sindaco ci mise la faccia»), e per non dire della passione, la sua passione per la politica: «Trentacinque anni di attività, 20 in circoscrizione, due mandati all’opposizione, uno da sindaco. Perché mai un uomo così dovrebbe arrivare a commettere tutti questi reati? Non certo per denaro, perché dice bene il pm quando sostiene di avere scavato, in un anno di indagini, tra intercettazioni, sequestri, perquisizioni domiciliari e negli studi professionali... Eccome se ha scavato. Ma per trovare cosa? Nulla, non un pezzo di carta, una parola, un solo euro che possa ricondurre Lucini a queste persone», ai professionisti incaricati di risolvere i guai del cantiere. «E allora - ha concluso Panzeri - si tira in ballo l’interesse politico... Facile... Lucini è un politico. Uno che cercò di salvare il salvabile».

Si torna in aula mercoledì 19.

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