Né pigri, né somari
Basta pregiudizi
sui ragazzi dislessici

La testimonianza di Francesca Magni, giornalista e blogger autrice di “Una storia di dislessia” su lettofranoi.it, su scuola e Dsa: in provincia di Como 3.555 casi certificati

Quasi il 5% della popolazione scolastica ha una certificazione di DSA: disturbi specifici di apprendimento. Il più comune è la dislessia, poi ci sono disgrafia, disortografia e discalculia; dal 2010 una legge vincola le scuole a preparare un piano didattico personalizzato. Oggi si parla molto di dislessia, ma pochi sanno cosa sia davvero. Dislessico uguale pigro, dislessico uguale meno intelligente, somaro. Il pregiudizio è tenace.

Sì, anche tu che stai leggendo lo hai pensato. Lo so, l’ho fatto anch’io, prima di scoprire che mio figlio dodicenne, uscito dalle elementari con soli dieci e poi scarso nel rendimento alle medie, lo è. Da quel momento ho iniziato a studiare il suo cervello e la letteratura scientifica sulla dislessia, e a capire che non gli manca la voglia di studiare, non cerca scuse, come pensavamo noi, genitori e professori. È solo dislessico.

Ok, non sai esattamente cosa vuol dire, è comprensibile, in Italia se ne parla da pochi anni e tanti non hanno le idee chiare; qualcuno non vuole capire, non è interessato. Tu invece vuoi, è per questo che stai leggendo. Allora ti propongo un esperimento, prova a seguirmi.

Sei miope, presbite o ipermetrope e porti gli occhiali. Toglili. Da adesso in poi non potrai più usarli. Dovrai leggere, da lontano o da vicino, e guai se non riesci. Ah, e leggi in fretta. No, non ti do più tempo per mettere a fuoco, devi fare come gli altri. Forza, leggi quel cartello, scemo di un miope! E tu, presbite svogliato, sbrigati a finire questo articolo. L’oculista dice che è un difetto del cristallino, non è colpa tua? Tutte scuse, ti conosco, cerchi alibi alla tua pigrizia. Sai cosa faccio? Ti do un brutto voto, ti boccio.

Lo stesso esperimento funziona se sei mancino. Immagina che ti costringano a scrivere con la destra con calligrafia perfetta e nel tempo degli altri, e che ti giudichino disimpegnato, asino, stupido se non riesci. A questo aggiungi che sei un bambino, la tua autostima si sta ancora formando, quello che dicono gli altri per te è verità; frequenti le elementari o le medie, e la cosa che ti riesce più difficile, leggere, scrivere, fare calcoli, è quella che sei costretto a fare tutto il giorno e sulla quale sei giudicato in modo implacabile con voti che ti inchiodano.

Lo so, ora stai pensando che oggi, con la certificazione e con gli strumenti compensativi, i dislessici vengono aiutati. È vero e non è vero. Il pregiudizio persiste, ci sono professori convinti che la certificazione sia una scorciatoia che i genitori ricchi comprano ai figli svogliati. Invece la certificazione è un male necessario, il dislessico è costretto a farsi “marchiare” per ottenere qualcosa che il miope considera suo diritto: gli occhiali. Essere considerato uno con un deficit (neurobiologico, nel caso della dislessia). Non uno scemo.

Qualcuno sarà sorpreso, ma leggere non è un’attività che coinvolga le capacità cognitive. La certificazione di dislessia si dà solo a chi ha un QI nella media, e spesso i dislessici risultano ampiamente al di sopra. Mio figlio, per esempio. Si appassiona a concetti come le onde gravitazionali, sa fare mappe di storia che potrebbero diventare libri di testo, ma se gli fai leggere ad alta voce un libretto da bambini piccoli, incespica.

Attenzione, però, non liquidiamoli con la retorica che diventeranno Einstein. Magari sì, magari no, ma non è questo il punto. I dislessici hanno solo bisogno che si riconosca la loro difficoltà per quello che è. E che la scuola applichi un’ampia rosa di metodi di apprendimento tra cui ci sia anche quello più congeniale per loro: scrivere con il computer o in stampatello, fare le verifiche creando mappe concettuali, usare la calcolatrice, il registratore per riascoltare le lezioni, le tabelle delle formule matematiche (non scandalizzatevi: quando eravamo piccoli noi, i quaderni a quadretti avevano la tavola pitagorica sull’ultima pagina)… Qualunque cosa, purché funzioni anche per loro. E senza bollini d’infamia.

Altrimenti, per coerenza, saremo costretti a dare dello stupido a chiunque porti gli occhiali.

(*) Giornalista e blogger (lettofranoi.it), recente autrice di “Storia di una dislessia”

© RIPRODUZIONE RISERVATA