Rsa e scandalo tamponi, l’Ats si assolve
Ma i suoi numeri confermano il disastro

Il direttore: «Ci siamo attivati per dare il maggior supporto possibile». In realtà la maggior parte dei test è arrivata quando ormai l’emergenza stava terminando

Cinque giorni di inchiesta giornalistica su due mesi disastrosi sul fronte della prevenzione del virus nella nostra provincia, hanno spinto Ats Insubria a rendere nota una serie di dati sull’emergenza Covid finora sempre negati. Ma il tentativo di dimostrare che - per dirla con il direttore generale Lucas Maria Gutierrez -«l’impegno messo in campo per gestire al meglio la pandemia è stato al massimo delle possibilità e delle forze», a fronte di decine di storie che raccontavano tutt’altro, è naufragato. E lo ha fatto proprio a partire dai numeri forniti (tre mesi e mezzo dopo l’inizio dell’emergenza) dall’ex Asl.

Nelle case di riposo

Di sicuro il passaggio più delicato e critico, legato a una gestione tamponi quantomeno incerta (per usare un eufemismo) raccontato nei giorni scorsi da La Provincia, riguarda la tragedia che si è consumata nelle Rsa.

Nel corso dell’inchiesta abbiamo riportato le voci e le storie di chi ha detto di essersi sentito abbandonato da Ats (in quanto ente sanitario regionale deputato alla prevenzione). Accusa respinta dal direttore Gutierrez con queste parole: «Le Rsa sono strutture private con una propria direzione sanitaria e il tampone rappresenta uno strumento di diagnosi a disposizione del referente sanitario qualora ravvisi la necessità di approfondimenti». Come dire: se i tamponi nelle case di riposo non sono stati fatti (in un periodo d’emergenza assoluta durante il quale neppure le autorità sanitarie pubbliche riuscivano a soddisfare la richiesta di tamponi, con l’eccezione del Veneto) rivolgetevi alle stesse case di riposo.

Poi aggiunge: «In virtù delle difficoltà che le Rsa hanno incontrato nell’approvvigionamento dei tamponi, Ats Insubria ha rappresentanto a Regione la necessità di supportare le Rsa nelle forniture dei tamponi che sono stati messi a disposizione». Ed ecco i numeri: «Dal 31 marzo al 12 giugno sono stati distribuiti» alle Rsa della provincia di Como «4.782 tamponi». Con un dato complessivo di test eseguiti nelle case di riposo di Como pari a 6.729 sugli ospiti e 4.655 sugli operatori. Come se il problema fosse il numero di tamponi complessivi, eseguiti cioè a disastro già avvenuto, e non quello fatto a scopo preventivo tra marzo e la prima metà di aprile. E la conferma che quella fase è stata fallimentare, arriva dai dati diffusi ieri dalla stessa Ats.

Al 21 aprile (primo dato disponibile) i tamponi effettuati nelle Rsa sia della provincia di Como che di Varese sono stati 1890 agli ospiti e 1558 agli operatori. Tradotto: al 21 aprile i tamponi fatti sono meno del 15% di quelli totali comunicati ieri. I tre quarti di quei quasi 7mila tamponi eseguiti sugli ospiti comaschi sono arrivati dopo il primo maggio. Che va bene, sia chiaro. Ma prima?

Il 31 marzo nelle Rsa di Como e Varese erano ospitate 10.282 persone. A maggio quel numero era sceso a 9mila ovvero già avevamo perso il 10% degli ospiti, il tutto proprio a causa dei decessi registrati nelle case di riposo. Ancora più chiaro il dato sugli ospiti “accertati positivi”: al 21 aprile erano 714 tra Como e Varese (511 solo nel Comasco), peccato che in quella data si erano già “persi” 900 ospiti, ovvero il 60% dei decessi complessivi registrati nelle case di riposo tra il 20 febbraio e il 16 giugno. Quanti di quelli erano morti per Covid? Quasi impossibile saperlo. E tutto questo vale anche al netto dell’indubbio impegno di tantissimi operatori dell’Ats.

Sul territorio

Se il capitolo tamponi delle Rsa è clamoroso, ovviamente non lo è da meno quello della manata prevenzione sul territorio. La difesa di Gutierrez sul punto è particolarmente debole: «Si ricorda che l’attività di tamponatura effettuata da Ats Insubria ha sempre seguito le linee guida ministeriali e le direttive della Regione Lombardia». E nonostante questo, chiosa il direttore di Ats Insubria, i tamponi eseguiti a Como sono stati oltre 40mila ovvero quasi 40 ogni mille abitanti. Ma anche qui il problema è: quando sono stati fatti quei tamponi? Al 19 aprile neppure un terzo. E abbiamo dato conto di decine di storie di persone rimaste senza tampone, nonostante amici e congiunti positivi.

Sul punto vale la pena citare «le strategie attuali» sulla sorveglianza proprio di Ats Insubria: «Testare con tampone, entro 48 ore, i contatti stretti» dei contagiati. Strategia perfetta. Arrivata con tre mesi di ritardo.

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