Spesa sempre più cara, in città. Il pane e la pizza pesano nel carrello

Inflazione Gli aumenti su base annua toccano il 12%. Monetti: «Finora gli imprenditori se ne fanno carico». Casartelli: «Evitare a tutti i costi un calo dei consumi»

È andata peggio del previsto: i dati Istat per ottobre dicono che l’inflazione in Italia è arrivata, su base annua, quasi a quota 12%, da un quasi +9% del mese precedente, registrando quindi un aumento circa del 3% rispetto allo scorso settembre. «In effetti le stime prevedevano valori più bassi per l’inflazione ed è preoccupante il rischio di una recessione ancora più prolungata di quanto si temesse – è il commento di Graziano Monetti, direttore Confcommercio Como – sono in particolari alcuni settori, come quelli della panificazione, che hanno risentito di aumenti impressionanti ma gli imprenditori non possono e non vogliono vendere il pane a cifre improponibili e di fatto si accollano i sovracosti andando a incidere sul loro margine, così come anche altri settori. Si potrà andare avanti così fino a un certo punto ma poi, quando non sarà più sostenibile, l’aumento dei prezzi diventerà inevitabile».

Il problema di fondo è quindi l’innalzamento dei costi dell’energia che si è andato a spalmare su tutte le categorie merceologiche. Concorda con l’analisi Claudio Casartelli, presidente Confesercenti Como, che dà voce ai piccoli e medi esercizi commerciali e ai mercati «riscontriamo in generale un atteggiamento responsabile dei venditori per cercare di mitigare il più possibile l’impatto degli aumenti perché all’inflazione non segua una diminuzione dei consumi e quindi, come ultima conseguenza, un calo dei fatturati».

Sarebbe più semplice un rialzo dei prezzi in proporzione, ma l’allontanamento dei clienti e una brusca frenata degli acquisti è una prospettiva anche peggiore della riduzione delle marginalità. C’è poi caso e caso. «L’aumento più sensibile ha riguardato chi usa molta energia, come i panificatori o le pizzerie che stanno facendo un grande sforzo per contenere gli aumenti, o chi deve usarla per realizzare il prodotto da mandare sui mercati – spiega Casartelli – incide invece meno sul settore ortofrutticolo che infatti registra una spinta inflazionistica più bassa. Sono differenze che notiamo sui banchi».

Decisivo il fattore tempo: ovvero quanto a lungo è possibile resistere al fenomeno per i negozianti prima di riversare i costi per intero sui prezzi al consumo, spingendo quindi l’inflazione a livelli ancora più alti. «Se si rientra ai valori normali in pochi mesi il fenomeno può venire assorbito, ma se diventa strutturale è molto preoccupante – conclude Claudio Casartelli – specialmente per chi ha uno stipendio fisso e si troverà a dover ridurre i consumi. Riscontriamo infatti nella clientela già una tendenza a spingere verso l’alto il risparmio, nell’incertezza del momento, e a consumare meno. Serve quindi, da parte delle istituzioni, una azione che tranquillizzi e faccia percepire che la situazione è sotto controllo».

Ristagno del mercato

Il rischio è un ristagno del mercato con una diretta conseguenza sull’economia. Como centro e almeno una parte della provincia possono contare sul turismo: per esempio il 70% dei visitatori del Wine Festival di piazza Cavour è straniero. È possibile quindi che una percentuale degli acquisti sia destinata ai turisti, con capacità di spesa in genere solida, ma si tratta di una parte di clientela complessivamente attorno al 20% e solo per alcune zone del comasco.

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