«Una guerra tra fratelli»
La comunità ucraina
in piazza a Como

Circa duecento persone ieri pomeriggio in piazza Cavour per manifestare per la pace tra canti popolari e insulti rivolti a Putin

«Non c’è una famiglia ucraina senza russi, non c’è una famiglia russa senza ucraini. Non si può fare una guerra tra fratelli». Sono in 200, forse di più, in piazza Cavour a Como. Ucraini di ogni età e provenienza, giovani e meno giovani, ragazze con il volto pitturato di giallo e di blu (il giallo dei campi di grano, il blu del cielo dell’Ucraina) e donne avvolte nelle bandiere. Gridano “Gloria all’Ucraina”, ma gridano anche “Putin assassino”.

Il passaparola

Il passaparola ha richiamato nel cuore di Como connazionali che chiedono lo stop del tuono dei cannoni. Tutti i presenti in piazza hanno un fratello, una madre, un cugino ancora in Patria, qualcuno anche in aree dove in questo momento, mentre scriviamo, piovono missili.

«Mia mamma è in Ucraina da sola, io vivo qui con mia sorella – dice Viktoriya Zaritska - mio cugino si è arruolato, non sappiamo però dove l’abbiano mandato. Non risponde al telefono. Questa guerra la preparavano da tempo». Viktoriya è della città di Kryvyj Rih, nel sud, vicino alla Crimea.

Diana Antyomenko invece è originaria dell’Est, più vicina al confine russo: «Hanno bombardato ospedali pediatrici, il centro per la raccolta del sangue. Hanno abbattuto edifici popolari – dice - I carri armati russi sono nella mia città». Poi la frase che più ci ha colpito: «Non esiste una famiglia russa senza ucraini, non esiste una famiglia ucraina senza russi, non ci si può fare la guerra tra fratelli. Io sono medico, sono qui da 20 anni. I miei parenti stanno lavorando negli ospedali. Putin ha preparato questa guerra per otto anni. Sta uccidendo non solo fratelli, ma ragazzi di 16 anni, russi, ucraini e bielorussi».

Sergii Lazariuk ha la moglie accanto e il figlio che gli gioca tra le gambe. Fa il mediatore e ha molti clienti russi, che lo interpellano per i loro affari in Italia: «Qualcuno mi ha chiamato per chiedere scusa per quello che il suo governo sta facendo. Altri non li ho più sentiti e ci sono rimasto male – racconta - Mia madre è venuta in Italia 21 anni fa, poi mio padre, poi mio fratello. Io ho preferito finire di studiare a Kiev. In Ucraina ho ancora zii e cugini, ed amici che adesso sono in prima linea.. Sono andato anche alla manifestazione di sabato e sono rimasto un po’ deluso. Non credo che adesso si debba togliere l’attenzione dalla cosa principale, la guerra, non è il momento di parlare di altro, di Nato e di politica».

Natalia Rahkmistryuk arriva da Cernovizza, vicino al confine con Moldavia e Romania, come pure Alesya Todoseychuk : «La nostra famiglia è rimasta in Ucraina. La nostra città non è stata bombardata ma ci sono vicine 35 mila truppe russe. L’Ucraina è 100 volte più debole ma abbiamo una nostra anima. Se dovessero arrivare, ci difenderemo. Per ora la mia famiglia sta accogliendo tanti profughi».

I canti popolari

Quando lasciamo la piazza, le donne, in cerchio, iniziano ad intonare canti popolari del loro paese. Non passa molto tempo per vedere i primi luccichii sulle guance. E non possiamo non notare due cose: la prima è il blu del lago sullo sfondo, unito al giallo del sole nel cielo, un modo gentile del paesaggio per provare ad asciugare quelle lacrime. La seconda è il contrasto, poco lontano, con le urla e le risate del Carnevale. Un ragazzo, in mezzo ad un gruppo di amici, sbuca da via Plinio sporco di schiuma da barba e guarda la piazza: «Vogliono fermare una guerra con una manifestazione…», sorride ebete. Dovrebbe sapere però che il silenzio è peggio, perché il silenzio è complice.

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