Addio Peppo Spagnoli,
paladino del jazz

Si è spento a 85 anni il fondatore dell’etichetta Splasc(h), disegnatore tessile e comasco d’adozione - Aperta nel 1982, la casa discografica offrì uno spazio più che mai necessario a tanti musicisti italiani

Lutto nel mondo del jazz per la scomparsa di Peppo Spagnoli, fondatore della Splasc(h), la più importante etichetta discografica italiana dedicata alla musica afroamericana. Originario di Arcisate, in provincia di Varese, ha lavorato come disegnatore tessile a Como per tanti anni e nella sua etichetta c’è sempre stato spazio anche per i talenti del nostro territorio.

Ma i meriti di Spagnoli, che si è spento ieri a 85 anni, sono molteplici. La Splasc(h), acronimo di “Società promozione locale arte spettacolo e cultura” (con una acca in più per... fare splasch) è nata nel 1982 come cooperativa sociale e Spagnoli, che la presiedeva, ne approfittò per coronare un sogno: trovare uno spazio al jazz italiano, una nicchia per appassionati, forse, ma i musicisti e il pubblico erano, in realtà, in attesa di una realtà come quella.

Il primo album fu “Lunet”, accreditato all’European Quartet del grande sassofonista Gianni Basso seguito, l’anno successivo, da “Bridge into the new generation” del quintetto del pianista Guido Manusardi e da un inevitabile collaborazione tra i due: “Maestro + Maestro = Exciting duo”. Da lì un catalogo che oggi annovera centinaia di titoli. Numerosissime le scoperte di Spagnoli, fra tutte, sicuramente, spicca quella del trombettista sardo Paolo Fresu, oggi riconosciuto a livello internazionale come uno dei più grandi creativi della sua generazione.

“Ostinato”, l’album di debutto registrato con un quintetto che comprendeva Tino Tracanna al sassofono, Roberto Cipelli al pianoforte, Attilio Zanchi al basso e Ettore Fioravanti alla batteria, rivelò uno straordinario talento e divenne subito un disco ricercatissimo che, come quasi tutti gli album targati Splasc(h), era stato curato da Peppo in ogni particolare: oltre a occuparsi della registrazione e della produzione, sfoderò anche un grande talento pittorico dipingendo le copertine delle sue “creature”: veri e propri pezzi unici che impreziosivano un elenco di album che andavano a proporre, man mano, quelli che ancora oggi sono i nomi più importanti del jazz nostrano.

Un’altra grande scoperta fu quella di Luca Flores, straordinario pianista scomparso, purtroppo, giovanissimo. Lavorando a Como non poteva sfuggirgli la vivace scena jazz lariana. Primo fra tutti il grande pianista brunatese Arrigo Cappelletti, che con la Splasc(h) ha pubblicato numerosi capolavori. E ancora Giuseppe Emmanuele, Daniela Panetta fino alla Big Bandit (poi Big Band.it), l’orchestra jazz nostrana che arrivò a pubblicare due registrazioni per quella che, nel frattempo, era diventata la più importante label di jazz italiano, spianando la strada a un gruppo di inseguitori che si misurarono con Spagnoli soprattutto a partire dagli anni Novanta, dall’esplosione del compact disc.

Ma era difficile eguagliare la Splasc(h) a cui il prestigioso magazine Musica Jazz dedicò un grande speciale e anche un disco antologico, come aveva fatto prima solo per le più importanti etichette internazionali (e con la “World Series” il panorama di Peppo si allargò anche al di fuori dai confini italiani, con lavori di Anthony Braxton, Dave Douglas, Tim Berne, Henry Texier, David S. Ware e tanti altri: una bella soddisfazione). Non è un caso se numerosi album della Splasc(h) figurano nella “Penguin Guide to Jazz”, un ennesimo riconoscimento a una figura fondamentale per lo sviluppo del jazz italiano.

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