Auguri Renato Pozzetto:
ha 80 anni
il “bimbo” della risata

Importante traguardo per il comico che, come in “Da grande”, ci guarda con occhi da ragazzino - Il cabaret, i “giochi” in tv con Cochi («Bravo, sette più») e poi il cinema: film costruiti per lui e le sue battute surreali

«Sai fare qualche espressione?» «Sì tutte, dica lei». «Fammi l’ira, adesso: sei arrabbiato. Hai capito? Adesso un po’ di più: odio! Fammi proprio l’odio: sei cattivo, capito? Ah, questo sarebbe l’odio... Amore! Sei innamorato, fammi vedere, su». Ma niente: non cambia faccia. Malinconico, con non chalance («Non so cosa vuol dire!»), minaccioso, triste... la faccia non cambia e il fotografo che dovrebbe realizzare il suo “book” da attore sentenzia, tra uno scatto e l’altro, senza mezzi termini, «Fai schifo! Fai veramente schifo».

Quella faccia, così “facciosa” e inconfondibile, oggi compie 80 anni. È la faccia di Renato Pozzetto e se l’anagrafe non mente, ai nostri occhi, anche di quelli che potrebbero essere i suoi pronipoti, rimarrà per sempre il “ragazzo di campagna”. E non solo perché ricordare uno dei suoi ruoli più memorabili e divertenti, ma perché i suoi personaggi sembrano arrivati “dal paese” e guardano il mondo con gli occhi di un bambino che si rifiuta di crescere, alle prese con situazioni e paroloni più grandi di lui. Parole come gli avverbi, i più lunghi, i più improbabili (“praticamente”, “precipuamente”), aggettivi inventati lì per lì (“semovibile” il più amato), situazioni impossibili da raccontare in modo lineare. Come ogni bambino aveva bisogno di un compagno di giochi e se il nome è troppo serio (Aurelio Ponzoni) meglio cambiarglielo nel più infantile Cochi. E quindi giocare.

Giocare al maestro con l’allievo («Bravo: sette più!»), al confessore e al parrocchiano («Mi sono soffermato a guardare l’interno di una 127 blu», «Quante volte?»...), al poeta e al contadino e quando non basta essere in due, si può chiamare qualche amico come Felice Andreasi, Lino Toffolo e Bruno Lauzi, sotto l’egida di un Enzo Jannacci che nonostante avesse una laurea in medicina, a sua volta non se la sentiva di crescere troppo ed era pronto a prendere sotto braccio Cochi e Renato per cantare “Lo sciocco in blu”, qualsiasi cosa volesse dire.

Destano stupore ancora oggi, quegli spezzoni di tv – così in bianco e nero, ma già così a colori nello spirito – con Pozzetto che descrive il mare a Milano («Esso andava da Porta Lodovica fino in via Farini, via Torino tutto un scoglio, che c’è ancora il pesce adesso in via Spadari») e i due che ballano con le gambe ad angolo ridicolizzando in pochi secondi tre lustri di varietà televisivo, con i loro comici garbati, i bravi presentatori e le ballerine. Stupisce per il successo che ebbero, in un’Italia apparentemente poco amante del nonsense.

Un senso, in realtà, Cochi e Renato ce l’avevano eccome: prendere le consuetudini dei dialoghi, i luoghi comuni, le canzoni, tutto quello che gli capitava a tiro, e farsene beffa, con sprezzo del ridicolo. Ponzoni era altero, quasi nobiliare, spesso con accenti stranieri a rimarcare la sua distanza con il popolare Pozzetto, vestito umilmente, con appresso un sacchetto di plastica dall’imprecisato contenuto, magari anche una ruota da camion («Questo lo chiameremo convenzionalmente copertone»). Assieme erano una miscela esplosiva che spiazzava la critica.

La stessa dinamite comica che era esplosa nei locali della Milano dei primissimi anni Sessanta, dove si incrociavano musicisti, attori, artisti come Piero Manzoni, alcuni già affermati, altri meno, alcuni mai. Poi il Derby, il cabaret, quel Gruppo Motore con cui travolgere le platee. Poi, perché “non si sa mai quello che al mondo ci può capitar”, dopo la televisione arriva il cinema, più generoso con Renato che con Cochi. La coppia si divide senza astio, e spesso si ritrova, anche lontano dai riflettori. I film di Pozzetto sono costruiti attorno a lui e, seppellita sotto un oceano di risate, non manca qualche stilettata al “mercato circostante”, a una società che va di corsa e che lascia indietro chi non sa adeguarsi. Tra i migliori “Per amare Ofelia”, debutto solista e impegnato, “Sturmtruppen”, tratto dai fumetti di Bonvi, che ha il pregio di riunire la coppia e tutti gli amici cabarettisti, l’incompreso “Saxofone”, prima regia, “Sono fotogenico”, una satira ferocissima di Cinecittà targata Dino Risi, “La patata bollente”, a suo modo all’avanguardia sul tema dell’omofobia, “Il ragazzo di campagna”, “Lui è peggio di me” con l’amico Celentano, e quel “Da grande”, copiato anche dagli americani per “Big”, con Tom Hanks.

Ecco, “Da grande” è tutto Pozzetto: eterno bambino nel corpo di un adulto, come ha dimostrato in tempi recenti, ritrovando Cochi in un palcoscenico trasformato nuovamente in un parco giochi per la gioia di chi li aveva amati e lo stupore di chi, a vent’anni, pensa che i comici di oggi siano all’avanguardia.

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