Donne nella scienza: il grande coraggio di rimanere umane

Il saggio Un’indagine di Sara Sesti e Liliana Moro sul contributo femminile alla ricerca: «In troppi casi vittima di amnesie e luoghi comuni»

14:29

«Io sono tra quelli che pensano che la scienza abbia una grande bellezza» scriveva Marie Curie accostando concetti normalmente tenuti separati. Scienza e bellezza, rigore ed estro, razionalità e umanità, aspetti di un unico universo che molte scienziate conoscono intimamente. Eppure…

Che abbiano scoperto la materia oscura o abbiano elaborato modelli economici sperimentali, che abbiano aperto la via all’informatica o alla biologia molecolare, l’apporto di numerosissime scienziate, dall’antichità ai nostri giorni, è stato per lo più minimizzato, messo in ombra e attribuito ai colleghi uomini. “Effetto Matilda” viene definito il fenomeno, ed è tutt’altro che un episodio sporadico. Il volume “Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie di donne che hanno sfidato pregiudizi millenari”, di Sara Sesti con Liliana Moro, (nuova ed. 2023, Ledizioni), sottrae all’oblio straordinari profili, delineandone i tratti ricorrenti e i percorsi, e trasmettendoci, oltre alle scoperte, proprio la passione e la bellezza di cui parla Marie Curie.

Progetto pionieristico

Frutto di un progetto pionieristico nato nel 1997 all’insegna della coralità, nell’ambito del Pristem dell’Università Bocconi, l’opera è giunta fino a noi grazie all’impegno divulgativo delle due autrici le quali hanno sviluppato l’iniziale ricerca procedendo in sinergia, forti delle esperienze condivise e della partecipazione alla Libera Università delle Donne, luogo di confronti e di studi cruciali. Dal 2016, l’aggiornamento del volume è in mano a Sara Sesti.

«Il nostro background femminista ci ha tenute unite nel progetto» ci racconta Liliana Moro, insegnante e storica. «Attraverso quelle biografie, ci siamo interrogate sulla “damnatio memoriae” delle donne, come nel caso dell’attrice Hedy Lamarr, – cui è dedicata la copertina – inventrice dello Spread Spectrum, alla base della moderna telefonia e dei sistemi wireless. Un insabbiamento che ha riguardato non solo le scienziate ma le giuriste, le pittrici, le artiste…».

Se le donne, nel corso del tempo, sono state costrette, e lo sono tuttora, a fare i conti con luoghi comuni, come la presunta distanza da certi campi del sapere, e con l’oggettiva difficoltà nel fare carriera in ambito scientifico, l’indagine delle due studiose fa emergere anche interessanti tratti peculiari. Tra questi, la passione autentica per l’oggetto scientifico, l’autonomia di pensiero, l’attitudine alla divulgazione e, come afferma Sara Sesti, docente di Matematica e ricercatrice in Storia della scienza, «l’abilità di produrre importanti lavori collettivi. Pensiamo alle equipe che hanno lavorato ai cataloghi stellari dell’Ottocento realizzando “La Carte du Ciel” e il Catalogo fotometrico di Harvard. I direttori degli osservatori avevano assunto esclusivamente personale femminile perché ritenevano che solo le donne, con la loro pazienza e tenacia, avrebbero portato a compimento un lavoro tanto minuzioso. E non solo lo portarono a termine, ma dimostrarono di essere in grado di utilizzare anche gli strumenti astronomici (...) E ancora, ricordiamo le quattro suore della Specola Vaticana che catalogarono più di 40.000 stelle, o, in ambito informatico, le matematiche che inventarono la programmazione dei primi calcolatori non meccanici: Eniac negli Usa e Colossus in Inghilterra».

Interrogativi urgenti

L’ampia e preziosa ricerca pone interrogativi urgenti e tocca questioni di perenne attualità. «Uno dei luoghi comuni più diffusi è il fatto che la ricerca scientifica sia stimolata dalle guerre, ma non è così» ci dice Liliana Moro, «pensiamo a Clara Immerwahr, morta suicida perché in dissenso col marito, Fritz Haber, inventore dei gas asfissianti, e, in ben altri campi, pensiamo a Rosalind Franklin, che fornì le prove sperimentali della struttura del Dna o a Ellen Swallow Richards che, nella seconda metà dell’Ottocento, scoprì che alcune malattie di cui soffrivano i bambini di Boston erano dovute alla presenza negli scarichi dei residui delle fabbriche e fece una campagna per la purificazione delle acque, organizzando tra l’altro la propria casa in modo ecologicamente corretto. Peccato che le sue opere furono classificate come economia domestica».

Nella recente edizione del volume, Sara Sesti introduce le biografie delle due ambientaliste Alice Hamilton (1869) e Donella Meadows (1941) che, con il loro mescolare scienza, emozioni e sentimento, hanno inciso profondamente nei rispettivi ambiti di ricerca. «Hamilton» ci racconta l’autrice, «è considerata la madre della medicina occupazionale per le sue ricerche sulle malattie in fabbrica che hanno trasformato i luoghi di lavoro di tutto il mondo. Meadows, a sua volta, è stata autrice nel 1972 del rapporto interdisciplinare “Il limite della crescita” che ha sollecitato il mondo accademico a immaginare un pianeta sostenibile come un’unica entità in cui sistemi fisici, ambientali e sociali coesistono».

E se in Italia, negli anni ’70-80, Laura Conti si è dedicata ai temi del lavoro, della salute e dell’ambiente portando alla luce i fatti di Seveso e contestando un modello di sviluppo autodistruttivo, ci piace ricordare, nel vasto panorama delle “Scienziate nel tempo”, anche Rachel Carson, che negli anni ’50 lottò per la messa al bando dei pesticidi, Wangari Muta Maathai, nobel per la Pace per la sua attività in Kenia, e Vandana Shiva, impegnata nel progetto di salvaguardia della biodiversità e teorica dell’ecologia sociale.

Senza cadere nell’errore di attribuire alle scienziate solo scoperte virtuose – si pensi alle 85 donne del progetto Manhattan che contribuirono alla produzione della bomba atomica – si può di certo affermare che, tra le donne, l’attenzione all’etica e al fattore umano è ricorrente, persino nella cosiddetta “scienza triste”, come testimoniano Rosa Luxemburg e Joan Robinson, sostenitrici di una teoria economica connessa alla pratica politica e sociale, e le Nobel Elinor Ostrom ed Esther Duflo che si sono occupate rispettivamente della gestione collettiva delle risorse comuni e della lotta contro la povertà.

Gli esempi e gli scenari sono davvero numerosi e non stupisce il fatto che, negli anni, “Scienziate nel tempo” sia stato adottato da scuole e istituti come strumento di indagine e abbia dato origine ad altre pubblicazioni e mostre. Sorprende ancor meno che le biografie, con la loro coloratissima varietà, abbiano ispirato lo spettacolo “Scienziate visionarie, il mondo che vogliamo”, prodotto da Pacta dei Teatri, di cui Sara Sesti è coautrice e interprete.

Del resto, come ci mostrano le due studiose, la scienza è tutt’altro che un’attività neutrale lontana dai sentimenti, e il tema, è evidente, va ben oltre la parità di genere. La posta in gioco, sembrano suggerirci le due autrici, è quella di superare ogni dualismo per giungere a una scienza più umana.

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