«In scena la crudeltà
contro una donna»

L’attrice Laura Negretti questa sera a Como con lo spettacolo “Barbablù 2.0”

Una donna, un uomo. Un legame che dall’esterno, pare perfetto, in una rassicurante casa borghese. Nell’intimo delle mura domestiche, si nasconde però un segreto inquietante, fatto di sopraffazione psicologica. Lo spettacolo “Barbablù 2.0”, di Teatro in Mostra, che vedremo questa sera, lunedì 25 novembre, alle 20.30, al Teatro Sociale di Como racconta una situazione immaginaria ispirata purtroppo a una tremenda realtà.

Nella Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in Sala Bianca, la compagnia comasca propone un cavallo di battaglia del gruppo come strumento di denuncia e riflessione. (Biglietti a 15 – 10 euro più prevendita. Info: www.teatrosocialecomo.it). Ne parliamo con Laura Negretti, anima di Teatro in Mostra e interprete della pièce insieme ad Alessandro Quattro.

Laura, il vostro “Barbablù 2.0” è uno spettacolo rodato, che ha superato i cinque anni di tournée con oltre cento repliche. Questa sera va in scena a Como. Una bella soddisfazione...

È sempre una gioia tornare “a casa”, al Sociale. Sarà un’emozione doppia. Inoltre, sono molto orgogliosa di poter dire che “Barbablù 2.0” è sempre accolto, ovunque, con grande emozione. Spero sia così anche in Sala Bianca.

Il sottotitolo recita “I panni sporchi si lavano in famiglia”, sottolineando, ancora una volta, come le violenze spesso si verifichino nella dimensione domestica…

Certo. Lo spettacolo racconta di una coppia, in apparenza, “ideale” che in realtà vive una situazione di sopruso, proprio dove si dovrebbe sperimentare solo la dolcezza della vita familiare. Con la drammaturga Magdalena Barile e la regista Eleonora Moro (anche autrice delle musiche ndr), decidemmo, fin dall’inizio, di non rappresentare la violenza fisica in scena. La forza della storia, infatti, a parer mio, sta proprio nel clima da thriller psicologico, nell’angoscia montante che, gradualmente cresce e avvolge chi guarda, fino alla deflagrazione. Questa storia si svolge in un ambiente volutamente neutro, perché vicende come queste accadono in modo trasversale e non solo, come potremmo immaginare, in ambienti deprivati.

Ci racconta il suo personaggio?

Questa donna, come il suo compagno “carnefice”, non ha nome. Sono “Lei” e Lui”, proprio perché simbolo di tante coppie. Lei è una donna che, ogni sera, aspetta, con il rossetto sulle labbra e il filo di perle al collo, che il marito torni a casa. Vuole essere perfetta per lui e non riesce a capire che questa perfezione non basterà a salvarla dalla prepotenza e dalla crudeltà dell’uomo. Lui riuscirà, lentamente, a toglierle l’autostima, l’autonomia, persino la voglia di relazionarsi con il mondo esterno. La cosa peggiore è che lei si arrenderà, come privata di ogni forza.

Come viene rappresentato il mondo intorno?

Mentre io interpreto un unico personaggio, Alessandro Quattro si fa in quattro, letteralmente. Come detto è il protagonista maschile ma interpreta anche la madre di lui, uno psicologo prezzolato e l’amico di famiglia. Queste figure sono come delle emanazioni della personalità dominante. Lui è onnipresente, centro della vita della sua vittima.

Una situazione, purtroppo, diffusa.

Dopo tante repliche, crede che lo spettacolo mantenga una funzione sociale e civile?

Lo spero fortemente e credo che storie come queste vadano raccontate non solo il 25 novembre, ma tutto l’anno. Posso testimoniare che il pubblico, spesso, è colto da forte emozione e in molti casi, dopo lo spettacolo, troviamo il modo e il momento per una riflessione a tutto campo sul tema. Lo dobbiamo alle donne, soprattutto alle giovanissime, cui si deve insegnare ad amare se stesse e a credere nelle proprie qualità.

Quali emozioni prova in questo ruolo?

Benché non mi capiti mai, in altri spettacoli, qui, a volte, alle lacrime che pubblico scambia per lacrime di dolore. E invece esprimono la mia rabbia per l’oppressione e l’ingiustizia che nessuna donna dovrebbe mai sperimentare nella sua vita e che invece fanno tante vittime.

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