La bambina di Odessa: «Storia di una grande donna tra dolore e coraggio»

Intervista La giornalista Tiziana Ferrario sarà ospite domani a Bellano per presentare il romanzo “La bambina di Odessa”. «Racconto Lydia Franceschi: l’infanzia, la Resistenza, la lotta per arrivare alla verità sulla morte del figlio»

Domani alle 17 al Cinema di Bellano, la giornalista Tiziana Ferrario presenterà il suo romanzo “La bambina di Odessa” (Chiarelettere). È il secondo incontro di questo 2023 della rassegna “Il bello dell’Orrido”. Armando Besio dialogherà con la celebre giornalista e scrittrice, già corrispondente per la Rai da New York e in prima linea per raccontarci guerre e crisi umanitarie in Afghanistan, Medio Oriente e Africa. “La bambina di Odessa” racconta la storia di Lydia Franceschi, una donna straordinaria e una madre ferita, che si vide portar via l’amato figlio Roberto, ucciso dalla polizia nel 1973, durante una manifestazione studentesca a Milano.

Come è nata l’idea o la necessità di scrivere un libro su Lydia Franceschi?

Lydia era stata mia insegnante alla scuola media a Milano e successivamente avevo seguito le sue battaglie per ottenere giustizia dopo l’assassinio di suo figlio Roberto. Un 23 gennaio, data in cui vengono distribuite le borse di studio della Fondazione Franceschi, ero all’Università Bocconi, ma in quell’occasione non ci fu la solita cerimonia. Infatti, era stato scritto un libro di testimonianze su Lydia da parte di 23 persone che l’avevano conosciuta. Quel giorno, da quel volume venne tratto un reading, che raccontava l’esistenza tormentata di Lydia e lì ho conosciuto il pezzo di vita che ignoravo: la sua infanzia ad Odessa, il suo tribolato ritorno in Italia, i suoi studi contro tutto e tutti, la sua partecipazione alla Resistenza. Sembrava una vita da film e ho così deciso di raccontarla in un romanzo. Ho pensato che poteva essere fonte di ispirazione per chi attraversa un momento difficile della sua esistenza, per chi insegna, per tutte le donne. Ho voluto mettere nero su bianco il suo modo di testimoniare come il bene possa vincere sul male, anche sul più atroce come può essere la tragica morte di un figlio. Per far questo mi sono messa in contatto con la figlia Cristina, che è stata molto disponibile.

La vita di Lydia Franceschi attraversa un secolo della nostra storia. Vogliamo cominciare dall’infanzia ad Odessa?

Lydia non parlava mai della sua infanzia perché non voleva essere compianta. Per questo pochi la conoscevano. Lei nacque ad Odessa dove si era rifugiato suo padre Amedeo per sfuggire ai fascisti e per inseguire il mito della rivoluzione bolscevica ed il sogno del proletariato. Ad Odessa Amedeo si innamorò di Lidia Pavani, figlia di un genovese e di una russa. Nel 1923, nel dare alla luce la figlia Lydia, la mamma morì di parto: fu la prima, grande tragedia di una vita sofferta. Amedeo, alla fine tornerà in Italia, sentendosi tradito da quella rivoluzione in cui aveva creduto.

Ancora giovane, Lydia abbraccia senza incertezze la Resistenza. Possiamo dire che era una donna che sapeva quello che voleva?

Certo ed anche in quel frangente la sua determinazione fu assoluta. Non ebbe alcun dubbio su quello che doveva fare, del resto tra i partigiani c’erano gli amici del padre. Lei fece quello che poteva, diventando una staffetta partigiana. Tra l’altro è curioso ricordare come a Milano la rete delle comunicazioni della Resistenza fosse sostenuta dalle portinerie dei vari palazzi. Le portinaie erano persone apparentemente anonime, ma sapevano tutto.

Altro tratto distintivo di Lydia è stato il suo amore viscerale per lo studio. Come è riuscita a primeggiare in campi che erano solitamente riservati agli uomini?

L’amore per lo studio Lydia lo scoprì dalle suore di un istituto sul Garda e fu per lei qualcosa di rivoluzionario. Quando finì in orfanatrofio non le fu permesso di studiare ed allora si faceva prestare i libri dalle amiche e studiava per conto suo. Quando le suore se ne accorsero le diedero la possibilità di accedere agli studi. Lydia arrivò a poter frequentare l’università e scelse la facoltà di chimica. In quel periodo era già raro che una donna studiasse e quelle che sceglievano un indirizzo scientifico erano delle mosche bianche. Ma Lydia fu una rivoluzionaria che seppe emergere anche nei primi lavori all’Istituto di Igiene e alla Centrale del Latte.

La sua vera professione fu l’insegnamento. Per lei fu una vera e propria scelta esistenziale?

Lydia visse tutta la sua vita di insegnante come una missione. Quella dell’insegnamento non fu una scelta di ripiego, bensì una vera passione che portò avanti per tutta la vita. Fu una rivoluzionaria nel voler inseguire una scuola da cui nessuno fosse escluso, come quei ragazzi con handicap fisici che erano relegati in una classe particolare e che lei distribuì nelle classi cosiddette normali tra le proteste dei genitori. Fu anche anticipatrice la sua adesione alle 150 ore, i corsi che consentivano di accedere al diploma a quei lavoratori che non avevano potuto studiare. Quando diede le dimissioni, il Ministero la convinse a restare e lei intraprese la nuova sfida per formare gli insegnanti di sostegno. Lydia era rivoluzionaria perché voleva lasciare un segno e considerava la scuola come un possibile ascensore sociale.

Veniamo a Roberto, il figlio amatissimo di Lydia. Venne ucciso dalla polizia il 23 gennaio 1973 durante una manifestazione davanti alla Bocconi. Cosa accadde a questa donna che sembrava fatta di roccia?

Per Lydia fu un colpo al cuore, una ferita che non si rimarginò mai. Ad una madre fu ucciso un figlio di vent’anni, ma la cosa peggiore furono i depistaggi, le menzogne di uno Stato che voleva “coprire” tutto. Per Lydia fu un dolore immenso dover sostenere ventisei anni di processi contro lo Stato che fino all’ultimo tentò di nascondere la verità. Per Milano e per l’Italia quelli furono anni cupi, ma anche pieni di energia e di novità. Roberto, studente modello della Bocconi, era un giovane che voleva impegnarsi per cambiare. Il ’68 aveva spazzato via vecchie regole e bisognava farne altre. Roberto credeva profondamente a questi cambiamenti.

I diritti del suo romanzo andranno alla Fondazione Franceschi. È un omaggio a questa donna meravigliosa?

È un omaggio a Lydia, a Roberto ed a Cristina, la figlia che oggi porta avanti l’impegno della mamma. La Fondazione lavora tantissimo con le scuole e porta avanti valori che condivido.

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