Un torchio comasco
dona il primo libro

Il “De appellationibus” di Giovanni Antonio Sangiorgio esce dalla stampa nel 1474 Opera di due patrizi tipografi lariani: Ambrogio de Orchi e Dionigi Parravicino

Roma, Venezia, Milano, Treviso e Napoli, Cremona, Verona, Bologna e Parma, Mantova, Padova, Ferrara e Genova: questi i nomi delle prime città italiane in cui tra il 1467 e il 1474 videro la luce i primissimi libri a stampa della nostra Penisola. Prima tra tutte il borgo laziale di Subiaco in cui il 29 ottobre 1465, a opera dei monaci Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz, fu edito in sole 275 copie il “De divinis institutionibus adversus gentes” di Lattanzio, il più antico libro stampato in Italia a riportare la data di edizione.

Como, nonostante l’agguerrita concorrenza di centinaia di città ben più facoltose e popolose, fu la quattordicesima a servirsi - ad appena nove anni dalla loro introduzione in Italia - dei caratteri mobili concepiti da Gutenberg tra il 1453 e il 1455. Circa 150 titoli precederanno il “De appellationibus” (o “Tractatus appellationum”) del giurista e cardinale milanese Giovanni Antonio Sangiorgi (1443-1509), primo libro partorito da un torchio comasco il 9 agosto 1474 da due patrizi e tipografi comaschi di cui oggigiorno poco o nulla ci resta, il decurione Ambrogio de Orchi e Dionigi Parravicino.

Attivo a Cremona

Originario del piccolo borgo medievale di Parravicino nei pressi del lago di Alserio e ascrivibile, secondo alcuni storici, al ramo dei Parravicini di Casiglio, quest’ultimo risultava, però, già attivo a Cremona dal 1471, quando in società con Stefano de’ Merlini da Lecco e del cremonese Francesco Granelli impiantò il primo torchio tipografico della città. Vi resterà quattro anni. Il 26 gennaio 1473 - alcune stampe precedenti forse andarono perdute - uscirà, infatti, la “Lectura super primam partem Digesti Novi” di Angelo De Ubaldis da Perugia, ma dopo il rientro a Como di Dionigi l’arte tipografica riprenderà vita a Cremona solo nel 1492. V’è, quindi, un nostro concittadino anche dietro il primo libro impresso in una delle città che nel nostro Paese conobbe questa vera e propria rivoluzione con mirabile anticipo sulle “rivali”.

Ma non è tutto, poiché la fama del maestro erbese evase i confini nazionali consegnandoci pochi anni più tardi - precisamente il 30 gennaio 1476 a Milano - l’editio princeps del primo libro stampato in Italia e in Europa interamente in lingua e in caratteri greci (eccezion fatta per la breve prefazione tradotta anche in latino). Si tratta della grammatica greca curata dal filologo e umanista bizantino Costantino Lascaris (1434-1501), anche nota con il nome di «Erotémata» ed edita da Dionigi in comunione con il tipografo e amanuense cretese Demetrio Damilás, «calligrafo non inferiore ad alcuno, che supera tutti in accuratezza» come avrà a dire nel 1478 l’ateniese Demetrio Calcondila.

L’opera consta di 72 carte in formato in-quarto e presenta una serie di caratteri denominata “primo tipo milanese” di cui Demetrio - come apprendiamo dalla prefazione bilingue - curò personalmente il disegno e la realizzazione in metallo: l’alto numero di legature aveva come scopo quello di imitare nel modo più fedele possibile la scrittura greca manoscritta e rendere, così, più fluido il testo a stampa.

Una simile impresa, maturata al culmine della temperie umanistica, non poteva passare inosservata. Sarà nientemeno che il grande Angelo Poliziano - al tempo poco più che ventenne - a dedicare, infatti, a questi due precursori uno dei suoi elegantissimi epigrammi d’occasione in lingua latina, il numero XXII: «Qui colis Aonidas, grajos quoque volve libellos; / namque illas genuit Graecia non Latium. / En Paravisinus quanta hos Dionysius arte / imprimit, en quanto cernitis ingenio! / Te quoque, Demetri, ponto circumsona Crete / Tanti operis nobis edidit artificem. / Turce, quid insultas? Tu graeca volumina perdis; / Hi parunt. Hydrae, nunc age, colla seca».

«Tu che onori le Muse, sfoglia pure / libretti greci, infatti, non nel Lazio, / ma in Grecia queste videro la luce./ Con quanto ingegno stampa il buon Dionigi / Parravicino, ed ecco, voi vedete / con che perizia! E a te, o Demetrio, Creta / risonante di mare ha dato vita / per noi autore di opere grandiose. / Chi insulti, Turco? Annienti i libri greci; / questi li creano. Taglia i colli all’Idra» [traduzione in endecasillabi sciolti dell’autore].

Immagine potente

L’elogio di Poliziano si condensa, senz’altro, nella potente immagine finale dell’Idra, il leggendario serpente marino della mitologia greco-romana sconfitto da Ercole e noto per le sue nove teste capaci di ricrescere e sdoppiarsi qualora recise dal nemico: il poeta, a seguito dell’assedio di Costantinopoli a opera degli ottomani di Maometto II nel 1453, interpreta il timore cristiano - e soprattutto italiano - dinanzi all’avanzata delle portentosi armate turche verso occidente, ma almeno sul piano culturale per quanto i turchi si affannino a distruggere il patrimonio librario greco, Dionigi e Demetrio ne consentono fieramente la rinascita e, anzi, una più rapida e capillare diffusione. Bisognerà attendere l’8 marzo 1495 perché il celeberrimo stampatore Aldo Manuzio rieditasse la grammatica del Lascaris, emendata da Pietro Bembo, dando vita alla prima delle sue 130 preziose “aldine” prodotte in vent’anni di fervida attività.

L’8 aprile del 1478, infine, Dionigi pubblicherà sempre a Milano, in società con lo stampatore novarese Domenico Giliberti da Vespolate, i “Rudimenta grammatices” di Niccolò Perotti: l’ultima edizione attestata del tipografo comasco.

Tornando, invece, al Congiario - altro termine con cui è chiamato il “De appellationibus” - il primo libro stampato a Como presenta l’ampio formato in-folio (383 x 256 mm) per un totale di 96 carte raccolte in 19 fascicoli e prive di segnatura numerica: il testo si presenta distribuito su due colonne in carattere semigotico, a eccezione del titolo e dell’intestazione dei capitoli in lettere maiuscole romane. Nell’ultima pagina leggiamo: «Comi impressa per magistros Ambroxium de orcho et Dionysium de paravesino Quinto Idus augustas MCCCC°LXXIIII° Deo gratias Amen».

Benché nel mondo sopravvivano appena 12 copie di questo volume - a Parigi, Friburgo, Monaco (con ben tre esemplari), San Gallo, Manchester, Oxford, Washington, Padova e Milano - nessuna di esse risiede in suolo comasco, pur sapendo per certo come il prezioso cimelio conservato oggi presso la Biblioteca Ambrosiana sia quello a lungo appartenuto a una nobile famiglia comasca e, ritenuto perduto, sia stato ritrovato solo il 6 settembre 1886 dal milanese Angelo Della Croce, fotolitografo incaricato delle ricerche dalla Società Storica Comense: «Libro già esistente presso la libreria del Giureconsulto fu Marchese Giuseppe Rovelli di Como, autore della sì accreditata storia della sua patria. È riputato rarissimo sì pel suo millesimo e sì per essere la prima opera tipografica stampata in Como.// Il possessore P. M. Rusconi l’offre in dono alla Biblioteca Ambrosiana di Milano» si legge, infatti, su un foglietto apposto al fondo del volume, laddove identifichiamo in Pietro Martire Rusconi un poeta e pittore valtellinese (1785-1861) verso cui il Marchese aveva titolo di riconoscenza.

Secondo e terzo

Quantomeno la nostra Biblioteca può vantare il possesso del secondo e del terzo libro stampati in città, rispettivamente il 15 febbraio 1477 e il 16 aprile 1479. Si tratta di incunaboli anch’essi di materia strettamente religiosa e canonica, ovvero l’“Opus statutorum” di Alberico da Rosate (1290-1360) e la «Vita di S. Giovanni de Capistrano» scritta tra il 1462 e 1463 da Cristoforo da Varese e tradotta dall’anonimo comasco Teofilo, e benché risultino tendenzialmente attribuiti al medesimo tipografo - lo sconosciuto Baldassarre da Fossato - solo l’”Opus statutorum” riporta espressamente il nome dello stampatore.

Ma la lunga trafila storica che lega Ambrogio e Dionigi ai grandi nomi dell’editoria comasca - da Gottardo da Ponte a Girolamo Frova, da Giambattista Arcioni a Ottavio Staurenghi fino alle più note famiglie Ostinelli, Giorgetti e Franchi di pieno Ottocento - annovera di diritto anche tre nostri concittadini stabilitisi a Venezia sul finire del XV secolo: i tipografi Bernardino di Pino da Como e Cristoforo De-Pensis di Mandello e il mercante Bernardino Rasma.

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