Zerocalcare, la forza dell’inadeguatezza

Il personaggio Il vignettista che viene dal mondo dei centri sociali e che ha raccontato se stesso su Netflix. Il curioso legame con due band comasche, gli Atarassia («i miei idoli») e i The Leeches per cui disegnò

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Eccolo lì, con la felpa e il cappuccio. Per niente cambiato dopo il successo che lo ha investito. Michele Resch, fumettista impegnato noto con il nome di Zerocalcare, che con la scusa di raccontare viaggi avventurosi o spaccati di realtà di quartiere, in realtà viaggia sì, ma dentro sé stesso, che poi è un po’ viaggiare dentro ognuno di noi, tra debolezze, incertezze, dubbi, inadeguatezze che ne hanno fatto un mito, per lettori «da 8 a 80 anni», come dice lui.

Per comprendere chi è, Zerocalcare, basta osservarlo in quell’apparentemente banale momento del firmalibri. Che con lui diventa uno show. Decine e decine di persone in fila al suo banchetto, a far firmare volumi, poster, cartoline... E lui che, invece di apporre la solita frettolosa firma, magari con il nome del dedicando, per ognuno dei fans, realizza un disegnetto, di se stesso oppure dell’Armadillo, che nella sua finzione scenica, è la voce della sua coscienza.

«Qui ci sono tavole, lavori, tante parole scritte… Io mi sento ancora un fumettista tout court, dunque le tavole sono ancora certamente espressione di me stesso»

La stessa cosa era avvenuta una decina di anni fa al cinema Glòria, a Como, nella sua prima visita nella nostra città. Ma allora Zerocalcare era un artista di nicchia, lo conoscevano i gruppi Punk di cui andava ghiotto (e per i quali faceva le locandine dei concerti) oppure i simpatizzanti dei centri sociali, il suo mondo di riferimento. Ma adesso è a Milano, è uno dei fumettisti più seguiti e apprezzati, ha persino una linea di merchandising con i pupazzetti che lo rappresentano, è un idolo, un modello; all’inaugurazione della sua mostra, alla Fabbrica del Vapore, a fare la coda per un autografo c’è anche Daria Bignardi... eppure lui non è cambiato: due ore, a firmare e disegnare.

Il successo non esiste, la popolarità non è un piedistallo, per lui conta solo il rapporto tra lui e il pennarello con cui tratteggiare i personaggi diventati ormai cult, anche grazie alla serie “Strappare lungo i bordi” andata su Netflix.

Eccolo dunque, tutto per noi, il fumettista romano (vabbeh, è nato ad Arezzo, ma ormai è radicato nel quartiere di Rebibbia, dove ha ambientato una serie animata diventata famosa a Propaganda Live, “Rebibbia quarantine”, sul lockdown del quartiere), per raccontare la sua mostra e il suo momento d’oro. Con una chicca comasca divertente. Una mostra per un fumettista che ormai è gettonatissimo per i suoi libri, che significa? «Qui ci sono tavole, lavori, tante parole scritte… Io mi sento ancora un fumettista tout court, dunque le tavole sono ancora certamente espressione di me stesso». Il successo travolgente: come lo ha vissuto Zerocalcare? «Non è stato semplice. È una cosa da gestire. Certo il successo è una cosa piacevole, ti dà il permesso di lavorare e dà la misura di quanto possa essere apprezzato il tuo lavoro, ma ci sono aspetti che sono difficili da gestire, come i rapporti con i mass media, o con istituzioni, o realtà con le quali ho fatto fatica a interagire, alcune addirittura mi fanno orrore. E tutto questo va gestito con equilibrio». Tra i tratti distintivi di Zerocalcare, c’è il fare dell’inadeguatezza una bandiera, quando invece è sempre stata una debolezza da nascondere. Dubbi, debolezze, difficoltà gettate in pasto al pubblico: «Io racconto me stesso, ho cominciato a raccontare il rapporto che avevo con un’amica poi scomparsa. Ho capito che il meccanismo funzionava. Perché alla gente non piace sempre confrontarsi con modelli irraggiungibili, ma con le difficoltà con cui si scontra ogni giorno...».

«Io arrivo da un mondo ancora molto legato al concetto di collettivo, di partecipazione, di attivismo di persona, come i centri sociali, ma mi confronto anche con un’era molto legata alla tecnologia, al multimediale, alla comunicazione social»

Può darsi che ti abbia aiutato anche il momento storico in cui i giovani, invece che trasmettere positività e sorrisi, spesso oggi trasmettono problematiche e cupezza? «Non ci avevo mai pensato, ma può essere una chiave. Certo io arrivo da un mondo ancora molto legato al concetto di collettivo, di partecipazione, di attivismo di persona, come i centri sociali, ma mi confronto anche con un’era molto legata alla tecnologia, al multimediale, alla comunicazione social che ostacola un po’ l’attività del condividere di persona i sentimenti o le situazioni. Forse io sono un po’ una cerniera tra questi due mondi, che cerca di tenerli uniti».

Quanto il personaggio Zerocalcare somiglia a Michele Resch nella vita di tutti i giorni? «Molto, perché come detto io racconto me stesso. Solo che certe volte mi disegno più scemo di quello che sono con domande e quesiti esistenziali apparentemente banali o stupidi, ma sono la maniera migliore per spiegare dalla base certe cose o certe realtà». Perché nella tua versione animata parli così veloce? «Perché vengo dal mondo punk e poi perché la parlata veloce diminuisce l’esigenza di un’animazione complicata».

Veniamo ai tuoi legami con Como. È vero che sei amico di Filippo Andreani, il musicista comasco degli Atarassia Grop? «Ah… (ride, ndr). Io sentivo tutte le canzoni degli Atarassia, il suo gruppo. Erano i miei idoli. Quando una mia amica me l’ha fatto conoscere non ci volevo credere. Grandissimi». E così gli hai disegnato una copertina di un disco: «Ho inserto un fumetto da inserire nella copertina di un 45 giri, tra l’altro quel fumetto è esposto alla mostra qui a Milano». E hai citato due canzoni degli Atarassia nel libro Kobane Kalling: «Vero. Sono due canzoni sulla resistenza bellissime, è stato un omaggio». E prima aveva realizzato una locandina per i The Leeches di Massi, Mex, Mone e Freddy, un altro gruppo lariano.

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