Il bilancio dopo oltre un anno
Uccisi dal Covid duemila comaschi

Una riduzione dei decessi forse a partire dalla metà del mese - Il presidente dell’Ordine dei medici Spata: «Vaccinare in fretta, non ci sono altre strade»

Sono più di 2mila le vittime da Covid accertate in provincia di Como dall’inizio della pandemia.

È stato un anno terribile, con il massimo storico di decessi dal secondo dopo guerra. È come se fosse sparita in dodici mesi l’intera popolazione di un paese come Lezzeno.

Pur avendo vissuto due terribili ondate in questi giorni ci troviamo a fronteggiare una terza ondata non meno drammatica. Dopo la veloce crescita dei contagi da metà febbraio, i numerosi decessi sono un fatto recente, stanno aumentando in maniera netta da una decina di giorni.

L’Asst Lariana a inizio settimana aveva in cura 351 pazienti positivi di cui 245 al Sant’Anna. Secondo gli esperti il calo delle morti si vedrà soltanto a metà aprile. Oggi però rispetto all’autunno e alla primavera disponiamo di un’arma che può evitare bilanci ancora peggiori. La campagna vaccinale, iniziata a fine anno con poche dosi e tra mille ostacoli, può portarci definitivamente fuori dal tunnel sono i vaccini.

«Non esistono altre strade – commenta Gianluigi Spata, presidente dell’Ordine dei medici di Como – dobbiamo vaccinare tutti e dobbiamo farlo il più in fretta possibile. Ora con una maggiore disponibilità di dosi possiamo iniziare a difendere una larga fetta della popolazione. Anche noi medici attraverso gli hub stiamo entrando nel vivo della campagna iniziata all’interno degli ospedali».

Vaccinati gli over 80 entro l’11 aprile, promette la Regione, dal 12 aprile anche i settantenni inizieranno ad essere vaccinati a Villa Erba e a Lariofiere come in altri centri vaccinali della provincia. La campagna procede comunque anche nei presidi di San Fermo, di Cantù, di Menaggio e in Napoleona. Certo le persone ormai contagiate in questa terza ondata, i malati sintomatici a casa e in ospedale, devono comunque fare i conti con il Covid. Ma gli altri, soprattutto gli anziani e i fragili, devono ricevere il vaccino prima possibile per evitare la malattia ed le sue pericolose manifestazioni.

Basti ricordare che al 28 marzo nel nostro territorio stando all’Ats «l’età media dei deceduti dall’inizio dell’epidemia è 82,1 anni, tra i casi letali il genere maschile è più colpito rispetto al genere femminile, il 53,3% contro l’46,7%, contrariamente alla percentuale dei casi complessivi, 47,3% contro 52,7%.». Quanto al triste bilancio del 2020 e di questo inizio di 2021 è da vedere nei dati. Ufficialmente i primi casi accertati di Covid sono arrivati nella nostra provincia dal lodigiano a fine febbraio. Il contagio poi è corso ovunque in primavera, quando ancora non avevamo tamponi e mascherine. Secondo l’Istat inizialmente a gennaio e a febbraio non abbiamo pianto vittime, ma è chiaro che il dato sconta l’impossibilità di accertare la positività dei malati, i test molecolari fino a maggio sono erano scarsissimi. Perciò è lecito pensare che soprattutto nei primi tre mesi le vittime del virus siano state molto più numerose nel nostro territorio, in particolare nelle case di riposo. Non 2mila vittime allora, ma parecchie decine di più.

«È stato uno tsunami – ricorda Spata – affrontato in mezzo a tante criticità. L’abbiamo sempre detto: mancavano i dispositivi di protezione, i test. La pressione si è concentrata sugli ospedali con una medicina di base senza strumenti adeguati dopo anni di impoverimento». Poi la finta tregua estiva, i nodi irrisolti del trasporto pubblico e un autunno più nero della spaventosa primavera. Quindi le nuove varianti e l’anno nuovo iniziato con il focolaio nella Rsa di Rebbio. Con la campagna vaccinale iniziata con poche cartucce e tante mani alzate.

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