L’illustre filologa e il giallo di Pelsopra

Il 12 (a Sondrio) e 13 agosto (a Como) è in edicola il numero ferragostano de “L'Ordine” dedicato ai racconti. Vi anticipiamo un caso di omicidio di cui dovete trovare la soluzione voi lettori

Fin da quando era piccola passava le estati nella casa di famiglia, il Carlasc, il Castellaccio, così era soprannominata la grande villa dalle fondamenta seicentesche – una parte addirittura, così si raccontava in famiglia, era stata adibita in origine a prigione.

La casa aveva una splendida vista sul lago Ceresio ed era circondata da un bel parco fitto di vecchi alberi robusti, il posto ideale dove mettersi a leggere, scrivere, chiacchierare con i tanti ospiti che venivano su accaldati da Milano a godersi il bel fresco della Valle Intelvi.

Quella mattina dopo colazione era scesa in giardino e si era messa sotto un platano frondoso a leggere un volume dal titolo quasi impronunciabile, un autentico scioglilingua, “Hypnerotomachia Poliphili”, stranissima opera del genio umanistico il cui autore era ignoto ma che lei, ne era convinta da certe recenti ricerche, avrebbe presto scoperto, quando qualcuno scosse il batacchio del portone principale.

«Che sia già Umberto da Milano? Dice che solo da me riesce a scrivere bene, a Milano fa troppo caldo. Adesso vuole assolutamente finire questo suo romanzo, “Delitti all’abbazia”. Che brutto titolo però! Troppo facile. Io avrei pensato a qualcosa di più allusivo, oggi gliene parlo. Ne ho due interessanti. “La ballata della rosa antica”. O “Il nome della rosa”».

Strano, i colpi di Umberto erano sempre molto delicati, urbani, quelli invece erano stati violentissimi, come dettati da un’urgenza inderogabile.

Si avviò all’ingresso. No, infatti, non era Umberto da Milano con il suo romanzo da finire, era la Lella da “Pelsopra” - Pellio superiore. Detta Lella Trivella, per un certo qual caratterino insistente e ostinato. Paonazza in volto, il respiro in affanno, sembrava avesse appena visto il diavolo in persona.

«Buondì, professoressa, scusi il disturbo, ma è successa una tragedia… oh, che “vespé”…»

«“Vespé”? Bella parola, vespaio, deriva dal ronzio creato dalle vespe» pensò Maria per un attimo distratta. «Qua sta per confusione, disordine. La cultura contadina riserva sempre delle sorprese»

Maria interruppe di colpo quel dotto flusso di pensieri per rivolgersi a Lella Trivella.

«Calmati, Lella, su, entra, ti prendi un bel bicchiere d’acqua e poi mi spieghi tutto.»

Lella Trivella obbedì. Era una donna minuta e nervosa. Dopo aver bevuto il suo bel bicchiere d’acqua fresca, esordì, adesso apparentemente un po’ più calma: «Lei è così intelligente, professoressa, magari riesce a risolvere la cosa prima dell’arrivo della polizia che con tutti sti tornanti e tornantini chissà quando arriva... se arriva… Ah, bocca tappati! “Loro” mi hanno mandato per questo».

Pellio Intelvi contava un centinaio di anime, qualche decina in più d’estate, ma come fosse una grande città era diviso in due: Pellio Inferiore e Pellio Superiore. “Loro” erano gli abitanti di Pellio Superiore - “Pelsopra”.

«Dimmi pure, Lella.» La curiosità di Maria - la “curiositas” come la chiamava alla latina - si accese come uno zolfanello.

Anche il racconto di Lella Trivella fu un gran “vespé” però, la donna era ancora molto scossa, l’effetto del bicchiere d’acqua era svanito presto e non bastarono i successivi, abbondanti rabbocchi a calmarla. Quel racconto sembrava un vero “gnommero” per dirla con Gadda. Il primo sforzo che dovette fare Maria fu proprio quello di mettere ordine. «Del resto» si disse, «a questo serve la filologia. A mettere ordine nel mondo.»

Da quello che a fatica era riuscita a ricostruire - dopo svariate domande e richieste di chiarimenti, tra espressioni in stretto dialetto della Val d’Intelvi (“adessadess”, “balurdòn”, “patafiada”), italiano storpiato (“ucciso senza morente”, “chiamare le bombe funeri”) e un’innaffiata di “Alura” e “inscè” - era successo quanto seguiva: il Mario Frigerio, detto ul Bechè (per il negozio di alimentari che aveva, dove c’era anche una piccola macelleria) era morto. O meglio: il Mario Frigerio detto ul Bechè (ma anche Bumbàss-cotone, per la folta chioma bianca che riscuoteva ancora grande successo tra le “sciure”) era stato ucciso.

A quell’idea Maria tremò, adesso non si scherzava più, prese anche lei un bicchiere d’acqua fresca, ma poi subentrò un altro pensiero: «Stavolta la filologia mi aiuterà a risolvere questo delitto, ne sono sicura. Appena lo saprà Umberto...».

Dal racconto di Lella Trivella erano emersi anche altri dettagli: innanzitutto il luogo del delitto, che era proprio l’alimentari del Bechè, per l’esattezza il corpo era stato ritrovato privo di vita all’ingresso, davanti alla cassa. Ma nessuno aveva preso niente da lì. Il “morente” dunque non era una rapina finita male. Ul Bechè doveva avere aperto da poco, quando era stato raggiunto allo stomaco da un paio di forbici.

«Madunnina mia bella, ma chi può essere stato, professoressa? In paese tutti ci conosciamo. Da giovani siamo stati pure morosi».

Intanto qualcun altro aveva suonato: era Ettore, il “pustì”, che aveva come al solito diversi pacchi per la «professoressa». Maria andò al portone e prese dalla mano sinistra di Ettore il quotidiano bottino postale di lettere, libri e giornali.

***

Terzo colpo di batacchio del giorno. Stavolta secco e perentorio.

«Umberto?» si domandò Maria sollevando gli occhi dalla “Hypnerotomachia Poliphili”.

Ma anche stavolta non era Umberto. Erano due uomini in divisa. Polizia di Como.

Arrivati in tarda mattinata a “Pelsopra”, avevano appena concluso i sopralluoghi e volevano scambiare quattro chiacchiere anche con la «professoressa».

Si accomodarono in giardino.

«Avete già scoperto qualcosa?»

Le spiegarono di aver interrogato diverse persone: l’“amica” del Bechè, vedovo da anni, ma ancora sensibile al fascino di una piacente signora sui sessant’anni, che da quello che si diceva in paese lo stava riducendo sul lastrico; il figlio del Bechè, contrario a quella relazione pericolosamente dilapidatrice; la figlia dell’“amica” del Bechè, moglie del postino, che in lacrime aveva ammesso una relazione col Bechè; il socio dell’alimentari, che tutti in paese conoscevano come “Carlein Tempesta” per il temperamento non proprio pacifico, preoccupato per gli affari sempre meno redditizi. Era stata poi la Marelli Raffaella a suggerire di sentire anche la «professoressa».

«Dall’inclinazione del taglio dovrebbe essere un mancino» disse il poliziotto più anziano ed esperto. «È stato colpito da dietro, di sorpresa.»

«Il Frigerio Mario faceva credito a molti, anche grosse cifre. Potrebbe c’entrare» proseguì il poliziotto più giovane. «Di solito si uccide o per soldi o per sesso.»

«Auri sacra fames» sussurrò Maria.

«Diceva, professoressa?»

«Oh niente, ricordi di scuola. Testimoni oculari invece?»

«Nessuno, professoressa. A quell’ora nessuno era in negozio. Chi l’ha visto l’ha visto da fuori».

Maria tacque per un attimo. Le brillarono gli occhi.

Aveva capito chi era stato.

E voi?

Avete indovinato chi è l’assassino? Per chi non ci fosse riuscito, o avesse dei dubbi, su “L’Ordine” del 19-20 agosto pubblicheremo la soluzione

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