I focolai in Ticino spaventano Como
«Il virus è stato sottovalutato»

Mentre sul Lario i casi sono pochissimi oltre confine aumentano e tra i frontalieri è allarme. «Ci definivano esagerati, ora mettono la mascherina...»

Le nuove restrizioni decise venerdì pomeriggio in tutta fretta dal Governo di Bellinzona - dopo la nuova impennata di tamponi positivi in tutta la Svizzera - preoccupano i frontalieri che ogni giorno attraversano il confine, direzione Ticino. I contagi stanno aumentando anche nel Cantone di confine - 12 i casi in rapida successione dopo un periodo di calma piatta - e il divieto di assembramento sopra le 30 persone è la conferma che il Consiglio di Stato teme un ritorno su numeri importanti del Covid.

I contagi di ritorno

Se, come ventilato dal presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi, l’obbligo di mascherine dovesse essere allargato a ristoranti e negozi, per molti frontalieri significherebbe allargare al luogo di lavoro una misura già in essere sul territorio di provenienza. Senza dimenticare la preoccupazione - legittima - legata ai cosiddetti contagi di ritorno. «Bellinzona ha deciso cinque misure operative per porre un argine contro nuovi e inaspettati contagi - sottolinea Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale Cgil Frontalieri -. Per una volta l’Italia è stata molto più lungimirante e quando, in pieno lockdown, insistevamo per far sì che la Svizzera si allineasse alle misure italiane, in molti hanno rubricato le nostre dichiarazioni alla stregua di un vezzo italiano. I fatti purtroppo ci stanno dando ragione, anche se certo i numeri sono al momento molto più contenuti rispetto a marzo e aprile».

Emblematica la vicenda delle mascherine, in Lombardia obbligatorie fino al 14 luglio: «La Svizzera e il Ticino hanno sempre parlato di “utilizzo consigliato se non si possono rispettare le distanze”, ma mai di obbligo. Salvo poi deciderne l’obbligatorietà da lunedì sui mezzi pubblici. E Bellinzona sta ragionando sull’obbligo nei ristoranti e negozi. Ancora oggi mi chiedo perché almeno il Governo cantonale non si sia allineato alle misure della Lombardia, considerando in modo errato la dogana unicamente come un confine fisico. L’attenzione va rivolta anche ai luoghi di lavoro, dove il distanziamento deve essere una condizione imprescindibile». Ieri il ministro federale Ueli Maurer ha fatto capire che la Svizzera ha ufficialmente innalzato il livello d’allerta, spiegando che gli aeroporti saranno tenuti sotto osservazione (tenendo conto che i viaggiatori provenienti da 29 Paesi dovranno osservare 10 giorni di quarantena una volta giunti in Svizzera), mentre «sarà più impegnativo monitorare i valichi di confine».

La retromarcia del Cantone

«Per l’ennesima volta si è persa un’occasione per stabilire un rapporto più diretto tra due aree di confine a stretto contatto 365 giorni l’anno - sottolinea Roberto Cattaneo, segretario della Uil Frontalieri di Como -. Se Bellinzona non voleva dialogare direttamente con Regione Lombardia, avrebbe potuto farlo con le Amministrazioni provinciali dei territori lombardi di riferimento, a cominciare da Como e Varese, e con i sindaci dei Comuni capoluogo. Il discorso vale anche per i nostri amministratori. Tutti hanno perso un’occasione per fare squadra su un tema serissimo e che tuttora sta creando grande apprensione. Il passo indietro del Canton Ticino, con intervento diretto del Governo cantonale, stupisce fino a un certo punto». Sin qui le decisioni di Bellinzona non hanno interessato i luoghi di lavoro, intese come aziende. Ma non si escludono provvedimenti a breve. In provincia di Como, intanto, ieri solo 3 casi. In Lombardia 95, di cui 21 debolmente positivi, con 10.160 tamponi analizzati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA