«Futuro della filiera tessile. Necessario un piano di medio lungo periodo»

Intervista a Sergio Tamborini, ex presidente di Confindustria Moda: «Agevolare gli investimenti, attrarre i giovani e sostenere la creatività»

Un presente di grande incertezza, ma anche la fiducia che il sistema del tessile moda riuscirà, a precise condizioni, a superare anche le attuali difficoltà. A fine mandato di presidente di Confindustria Moda, Sergio Tamborini traccia un bilancio del lavoro svolto e delle azioni messe in campo per dare più valore al comparto.

«Quattro anni intensi, resi un po’ meno impegnativi da una grande squadra attiva su due fronti: i vice presidenti che sono stati sicuramente molto collaborativi e tutta la struttura organizzativa della Federazione che ha contribuito a realizzare progetti ambiziosi in ambito di efficienza, lavoro, welfare e sostenibilità: come il Forum di Venezia, partito nel 2022 come evento sulla sostenibilità e in quattro anni ha abbracciato altri temi strategici diventando un prezioso strumento di comunicazione di tutte le filiere industriali del settore».

Attese deluse?

La mancata piena operatività del consorzio sull’EPR, quindi Retex Green, per tutta la gestione del fine vita dei prodotti. Il progetto, avviato nel 2021, è legato ai decreti attuativi in capo al Ministero delle Imprese e del made in Italy e dell’Ambiente attesi entro fine anno.

Un risultato invece di cui è orgoglioso?

Nel 2020 l’Associazione aveva 500 iscritti, oggi ne ha 564. Nel 2021 poteva contare su 2,6 milioni di contributi, oggi su 3,6 milioni (+40%) grazie anche all’ingresso di aziende importanti. Evidentemente è maturata la consapevolezza che bisogna fare squadra per vincere le difficili sfide che ci attendono.

Dalla recente assemblea di Confindustria Moda è emerso un quadro sempre più critico sullo stato del settore.

Nel 2024 la produzione industriale è calata di quasi il 12%, si stima una perdita di fatturato del 6%, a circa 60 miliardi rispetto al 2023. Il primo trimestre del 2025 ha perso un ulteriore 12,5%. Nel 2024 sono state autorizzate 42 milioni di ore di cassa integrazione, più 75% rispetto al 2023. Il primo trimestre del 2025 ha registrato ancora un incremento del 20% rispetto al primo trimestre del 2024: in un anno e tre mesi la cassa integrazione è cresciuta del cento per cento rispetto al 2023. Dopo quattro semestri di recessione non si può più parlare di crisi, ma di rivoluzione del sistema e la storia insegna che le rivoluzioni si sa come cominciano ma non come finiscono.

Cosa si deve fare per tutelare la nostra industria manifatturiera?

Bisogna mettere in cantiere un piano strutturato di medio-lungo termine che guardi oltre il momento emergenziale. Un piano che deve poggiare su tre pilastri fondamentali: siamo un’industria e quindi dobbiamo investire con l’aiuto di agevolazioni proporzionali alle spese sostenute; siamo una manifattura che deve preservare il valore delle mani e quindi dobbiamo far entrare le nuove generazioni nel nostro mondo rendendolo ai loro occhi più attrattivo con una campagna culturale, potenziando la formazione, garantendo una corretta remunerazione, magari grazie a misure concrete di defiscalizzazione; siamo un’industria creativa è allora va premiata la creatività in termini di contribuzione fiscale come la R&D per altre industrie.

Tornando al valore delle mani, elemento distintivo del made in Italy

L’industria è fatta non solo di mani che sono un valore aggiunto fondamentale, ma di investimenti, organizzazione e professionalità che non richiedono necessariamente un intervento manuale. Il tema vero è trovare modalità che permettano un equilibrio tra questi vari elementi anche grazie a piani industriali supportati dal governo. Se si punta solo sull’artigianalità senza una dimensione industriale c’è il rischio di finire come le specie in via d’estinzione allo zoo che non vivono nella natura.

I brand possono aiutare a salvaguardare questo patrimonio di artigianalità?

Sono momenti difficili anche per i marchi del lusso, la crescita dei loro fatturati è legata più all’incremento dei listini che dei volumi; quindi, sono focalizzati a difendere il loro business. Dobbiamo aiutarci incentivando le aggregazioni di filiera.

Anche con l’ingresso di gruppi stranieri, come è successo di recente a Como : un bene o un male per il distretto.

Ogni storia è una storia a sé, va vista nel contesto del momento.

Veniamo ai costi dell’energia, emergenza di assoluta attualità

Occorre intervenire sulle tariffe, oggi sono insostenibili per tessiture, tintorie e stamperie, aziende energivore legate alla nobilitazione, anelli fondamentali della filiera.

Si parla di barriere per evitare l’ingresso in Europa di prodotti non eco-sostenibili.

Un tema complesso: le dogane nell’Ue non sono centralizzate, i controlli dipendono ancora da ogni singolo Stato. Dovrebbero essere strategiche. Di fatto, malgrado tante istanze avanzate a Bruxelles, sono inesistenti.

Si parla anche di Digital Product Passport per favorire acquisti più consapevoli.

Un marchio super low cost come Shein in 12 anni è passato da zero a 40 miliardi di fatturato, vendendo negli Stati Uniti, Europa, Giappone una quantità di prodotti d’abbigliamento a prezzi bassissimi: un paio di scarpe costa 15 euro, una camicia 3 euro. Non credo che chi compra non sappia come vengano realizzati questi pezzi. La sostenibilità non riguarda solo il legislatore e il produttore. Vestirsi è un atto politico, chiama in campo in prima persona anche il consumatore. Se in Francia, ogni giorno entrano un milione di capi di Shein, vuol dire che l’etica non condiziona ancora lo shopping.

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