Frontalieri tassati. «Così ai nostri medici
uno stipendio più alto»

Confine L’assessore Sertori in difesa della misura. «Prelievo del 3%, è il minimo previsto dalla normativa». Mastromarino (Comuni di frontiera): «Viola l’accordo»

Como

Si profila un frizzante dibattito istituzionale attorno al destino della “tassa sulla salute”, che martedì pomeriggio Regione Lombardia - attraverso l’assessorato ai Rapporti con la Confederazione Elvetica - ha chiarito, alla presenza delle organizzazioni sindacali regionali dei frontalieri (Cgil, Cisl e Uil), applicherà ai “vecchi frontalieri” nella quota del 3% dello stipendio netto, il minimo imposto dalla legge. «Abbiamo deciso di applicare la percentuale minima prevista per legge ovvero il 3% della paga - ha rimarcato in una nota l’assessore regionale Massimo Sertori -. L’incontro di martedì è servito per avanzare proposte concrete per rendere attrattivo il lavoro di medici e infermieri nelle aree di confine. Il nostro obiettivo è aumentare il loro stipendio, utilizzando il contributo di solidarietà da parte dei “vecchi” frontalieri che - è bene ricordarlo - ad oggi usufruiscono dei servizi del sistema sanitario regionale senza contribuirvi». Nel contempo, Massimo Sertori ha rimarcato come «nel corso dell’incontro con la parte sindacale abbiamo avanzato la proposta di studiare la modalità di un welfare territoriale per rispondere ad alcune esigenze specifiche dei frontalieri. Il nostro obiettivo fondamentale è quello di rafforzare la sanità pubblica e rendere attrattivo il lavoro di medici, infermieri e personale sanitario aumentando sensibilmente la loro retribuzione».

Queste le dichiarazioni dell’assessore regionale con delega ai Rapporti con la Confederazione Elvetica. Nelle prossime settimane saranno formalizzate le prime proposte concrete per tradurre in proposte concrete quanto discusso e concordato martedì. A stretto giro, dopo le parole dell’assessore regionale Massimo Sertori, è arrivata anche la presa di posizione di Massimo Mastromarino, sindaco di Lavena Ponte Tresa e presidente dell’Acif (Associazione Comuni Italiani di Frontiera). «Regione Lombardia pare intenzionata ad applicare la “tassa sulla salute” ai “vecchi” frontalieri per finanziare la sanità di confine - le sue parole -. Se il fine è meritevole, il mezzo (la tassa) è sbagliato. Viola infatti l’accordo fiscale del 2023. Già nel 2014, vigente il vecchio accordo fiscale del ’74, le Asl avevano provato a tassare i frontalieri, ma lo stesso ministero della Sanità nel marzo 2016 aveva confermato che la tassa non era dovuta». Da qui la chiosa finale, che funge da monito a Regione Lombardia. «I Comuni di frontiera hanno già espresso la loro contrarietà in accordo con le Associazioni sindacali in rappresentanza dei lavoratori frontalieri - fa notare Mastromarino -. Sosteniamo il sindacato nel ricorrere legalmente contro questa tassa se Regione Lombardia decidesse di applicarla». Parole destinate sicuramente ad alimentare nuovamente un ampio dibattito anche in ambito istituzionale. Senza dimenticare che la Regione Piemonte ha più volte pubblicamente fatto sapere di non aver intenzione di applicare la “tassa sulla salute” se non costretta. Ma trattandosi di una Legge dello Stato in alcun modo potrà sottrarsi da questo obbligo.

Da segnalare infine anche le dichiarazioni del consigliere regionale comasco del Partito Democratico, Angelo Orsenigo, che martedì sera, al termine dell’incontro con le organizzazioni sindacali dei frontalieri, ha invitato Regione Lombardia a «chiarire una volta per tutte le proprie intenzioni». «Condividiamo la proposta avanzata dalle organizzazioni sindacali di sostituire l’attuale imposta con un contributo volontario, anche per superare i dubbi di costituzionalità che l’attuale sistema solleva – la chiosa di Angelo Orsenigo –. È positivo che il confronto si sia finalmente aperto, ma ora serve anche un dibattito politico serio».

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