Il futuro della seta nel settore biomedicale

Tess Intervista all’ingegner Antonio Alessandrino, sul progetto imprenditoriale legato a doppio filo al territorio comasco

Como

Sul filo di un’idea imprenditoriale davvero innovativa, che ha avuto il distretto comasco come incubatore. Parliamo di KLISBio, con sede a Bresso. Ingegner Antonio Alessandrino, dietro a ogni progetto imprenditoriale, c’è un’idea che scatta: a lei quando è successo?

Non c’è stato un momento “eureka”, è stato più un percorso. A 18 anni scoprii di avere delle lesioni ai legamenti delle caviglie. A quei tempi non si era così interventisti, quindi sono andato avanti senza operarmi. Un giorno però ho visto un documentario, in cui si parlava della seta di ragno e delle sue proprietà meccaniche. All’epoca già studiavo ingegneria e la prima cosa che mi sono detto è stata: «Ma perché non usano la seta di ragno per fare i tendini e i legamenti, così mi sistemo le caviglie?». Più avanti, durante la specializzazione in ingegneria dei materiali, il destino ha voluto che mi trovassi a fare una ricerca di letteratura sull’impiego della seta nella ricostruzione del legamento cruciato anteriore. Da lì è partito tutto, quindi una tesi di laurea, il dottorato e il post-dottorato sempre sulla seta in ambito medicale. Mi sono imbattuto in progetti per riparare i vasi sanguigni, i nervi, la trachea e qualche tessuto osseo, imparando sempre di più. Ad un certo punto l’evoluzione naturale è stata quella di provare un’avventura imprenditoriale fuori dal laboratorio.

Perché la seta funziona così bene in chirurgia?

Ad oggi le soluzioni fatte dall’uomo non funzionano, o quantomeno, hanno dei problemi. Prendiamo la procedura “autograft”, cioè di auto trapianto: sono tessuti del paziente stesso, quindi stai danneggiando una parte meno importante per salvaguardarne un’altra. In alternativa c’è chi si rivolge alle banche dei tessuti, ma non tutti i pazienti sono contenti di avere una parte di un cadavere. La seta, o meglio, la fibroina di seta, ottimizza la risposta biologica, perché assomiglia ad alcune proteine del corpo umano. Si biomimetizza e fa credere alle cellule di “essere” nel loro tessuto naturale. In più la fibroina ha una proprietà: stimola l’angiogenesi, cioè la formazione di vasi sanguigni. Ogni volta che il corpo umano deve riparare un tessuto, ha bisogno di nutrire le cellule e lo fa attraverso i vasi sanguigni, che però spesso sono distrutti dal trauma e quindi devono essere nuovamente formati. Detta così sembra banale, ma farlo avvenire nel corpo umano dove serve e nei tempi corretti non è così semplice.

Parliamo di materie prime: quali sono e come le lavorate?

Noi usiamo sia bozzoli che filati. I bozzoli li compriamo in Italia dalla rete produttori del Triveneto, guidata dal CREA di Padova. I filati invece arrivano attraverso un importatore comasco. In entrambi i casi abbiamo un altissimo livello di tracciabilità di ogni fornitura, che è fondamentale nell’ambito medicale: riusciamo a risalire a dettagli molto specifici di ogni fornitura. Il filato lo facciamo trasformare esternamente da un’azienda specializzata, mentre i bozzoli li trasformiamo internamente seguendo il nostro brevetto. Dal processo di trasformazione dei bozzoli otteniamo una soluzione di fibroina di seta che viene elettrofilata, ottenendo singole fibre di circa 400 nanometri di diametro. Sono troppo piccole per essere lavorate singolarmente, per questo le depositiamo su dei supporti in modo da ottenere matrici o superfici tubulari: accoppiamo la parte tessile con quella elettrofilata. Questa tecnica ci consente di ottenere un tessuto facile da maneggiare e da suturare per il chirurgo. In tutto, per passare dal bozzolo alla struttura finita, ci vogliono un paio di settimane.

Due settimane per creare, diversi anni per avere tutte le autorizzazioni: quando sarà il primo lancio sul mercato?

Il progetto SILKBridge per la riparazione dei nervi, iniziato nel 2017, non è ancora approvato né commercialmente disponibile negli Stati Uniti, nell’Unione Europea o in altri Paesi. Potrebbe diventare disponibile sul mercato statunitense nel 2026, qualora tutte le fasi regolatorie vengano completate con esito positivo. Nell’UE, i dispositivi come il nostro sono soggetti alla nuova regolamentazione MDR, che richiede la raccolta di dati attraverso uno studio clinico, già previsto nella nostra strategia di sviluppo. In tutto serviranno almeno due anni e mezzo per completare il percorso. Il nostro cliente finale saranno gli ospedali. Per quanto il materiale sia particolare, seguirà lo stesso canale di vendita e distribuzione di una protesi d’anca. Il chirurgo la sceglie quando può e il paziente si fa affiancare dal sistema sanitario o dalle assicurazioni.

Dal punto di vista personale, com’è stato crescere come imprenditore?

È stato un percorso lungo, complicato, non è ancora finito. Ci sono state tante difficoltà: la prima è che partendo da zero, devi imparare tutto. Io non avevo un’esperienza precedente in un’azienda medica, ma ho avuto la fortuna di avere un mentore - poi diventato socio co-fondatore - che ha lavorato per 40 anni a contatto con l’industria tessile. Forse però, la cosa ancora più complicata per me è stata imparare a essere un punto di riferimento per le persone. Quando sei in questo ruolo, tutti all’interno dell’azienda ti guardano, specialmente nei momenti di difficoltà. Per quanto tu non abbia certezze, sai di dover trasmettere fiducia e sicurezza.

E se dovesse farsi un augurio per il futuro?

L’unica cosa che posso augurarmi è che gli sforzi di tutti questi anni - miei e del team - riescano a portare il primo prodotto sul mercato. Sarebbe un grande riconoscimento, non solo per i fondatori. Tutto sommato, fare questo tipo di percorso era il mio desiderio. Se qualcuno mi chiedesse “ti penti di qualcosa?”, direi proprio di no: quello che faccio mi piace. Credo che sia un’avventura che pochi altri al mondo hanno avuto la possibilità di vivere.

Un finanziamento a febbraio di 2,5 milioni di euro

KLISBio ha ottenuto a febbraio il grant EIC Accelerator Program da parte dell’Agenzia Esecutiva del Consiglio Europeo per l’Innovazione e le PMI (EISMEA). La sovvenzione, di 2,5 milioni di euro in finanziamenti non diluitivi, testimonia il contributo innovativo di KLISBio al settore MedTech. «Collaboriamo tutte le volte che possiamo: siamo relativamente piccoli e non possiamo saper fare tutto. In alcuni casi si tratta di contratti di servizi, in altri di progetti di ricerca» racconta Antonio Alessandrino. Ora KLISBio ha attivato collaborazioni con il CNR, l’università di Trieste e una startup milanese che lavorerà insieme ad un ospedale. «In passato abbiamo lavorato con l’Università di Torino, con Politecnico di Torino, Washington University di Seattle. Abbiamo lavorato con alcune aziende specializzate di biocompatibilità, sia europee che statunitensi. In genere tutte le volte che possiamo andiamo a cercare al di fuori le competenze di alto livello corrette per noi».

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