Il posto fisso in Ticino non attira più. È in calo il numero dei frontalieri

Frontiera Un’indagine sui permessi “G” conferma: sono stati persi 1.500 posti in due anni. Tra le cause possibili figurano la doppia imposizione fiscale e le restrizioni sul telelavoro

Como

È stata la Rsi a perimetrare, per la prima volta, un dato che il calo su base annua dei permessi “G”, quelli maggiormente diffusi tra i nostri frontalieri, ha solo in parte evidenziato ovvero il minor appeal che dal 17 luglio 2023 (due anni fa esatti) ha per i potenziali frontalieri il posto di lavoro oltreconfine. In questo contesto è emerso che in questi due anni circa 5 mila lavoratori che avrebbero potuto diventare frontalieri in Ticino vi hanno rinunciato. Un dato che sommato a un calo dei permessi “G” pari a circa 1500 unità nell’arco degli ultimi due anni (78.433 l’ultimo dato ufficializzato da Berna) rappresenta sicuramente un nuovo corso per quel che concerne i rapporti di confine, con il posto di lavoro in Ticino che dunque non è più così ambito e inseguito. E questa volta non è solo una percezione, quella legata al calo dei frontalieri unito a chi ha deciso di rinunciare alle proposte e dunque al posto di lavoro oltreconfine, ma si tratta di riflessioni suffragate dal conforto dei numeri.

Meglio l’Italia?

A proposito di numeri, il vicesegretario cantonale di Ocst, Andrea Puglia, ha confermato a “La Provincia” che «un 20% di persone che avrebbe potuto avere un posto di lavoro in Ticino ha declinato. Un dato che ha un suo peso specifico rilevante, considerato che le rinunce o comunque i casi di rifiuto di un’offerta di lavoro oltreconfine erano pressoché inesistenti».

«Sicuramente il numero dei frontalieri è in calo. E questo è un dato ormai assodato - le parole di Andrea Puglia -. Le cause sono da rapportare da un lato per l’impatto della doppia imposizione, che rende meno attrattivo il posto di lavoro soprattutto per quelle posizioni che in Italia godono già di buone posizioni retributive. Il calo poi è giustificato anche - altro fattore determinante - dalle restrizioni legate al telelavoro dei frontalieri. In particolare, la manodopera qualificata desidera ricorrere al telelavoro, ma facendo il frontaliere questo benefit deve fare i conti con le restrizioni imposte dall’accordo tra Italia e Svizzera. Dunque c’è chi preferisce restare in Italia per avere più agevolazioni in tal senso, optando per una maggior conciliazione nel rapporto tra qualità della vita e lavoro».

Da segnalare però che quello dei frontalieri occupati in Ticino non è una picchiata vertiginosa. Questo perché - come rimarca ancora Andrea Puglia - l’80% dei frontalieri continua ad accettare il posto di lavoro oltreconfine, nonostante le regole d’ingaggio dettate dalla doppia imposizione. Per concludere, il Ticino resta attrattivo, anche se - per dirla con il vicesegretario cantonale di Ocst - «si tratta di un’attrattività più limitata rispetto a prima».

Il caso simbolo

Una sottolineatura tutt’altro che di secondo piano va a quei lavoratori che decidono di trasferirsi in Svizzera. Il caso simbolo è un lavoratore che va a vivere e lavorare oltreconfine non avendo famiglia al seguito. In questo modo si evita la doppia imposizione e nel contempo l’abitazione risulta più vicina al luogo di lavoro. Si tratta comunque di dinamiche in continuo divenire. E in questo contesto la Rsi ha parlato anche di «aziende svizzere che vogliono aprire delle unità in Italia per poter usufruire di personale italiano, magari per trasferire uffici o reparti».

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