«La parità di genere fa crescere le aziende. Ora bisogna certificarla»

Intervista ad Antonella Mazzoccato, imprenditrice e presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di commercio Como-Lecco

Accelera, anche nell’area lariana, la certificazione della parità di genere promossa a livello regionale e nazionale attraverso bandi destinati all’universalità delle imprese. L’obiettivo è innescare un cambiamento culturale che favorisca l’adozione di politiche attive finalizzate a ridurre il divario di genere, promuovendo al contempo una maggiore partecipazione femminile nella vita economica e sociale. Il processo di certificazione, rilasciato da organismi accreditati presso Accredia, valuta le performance aziendali in base a diversi indicatori, tra cui cultura e strategia, governance, processi HR, equità retributiva e conciliazione vita-lavoro.

In cosa consiste il percorso di certificazione?

Il primo passo è un assesment sul livello generale dell’azienda in materia di inclusione - risponde Antonella Mazzoccato, imprenditrice e presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di commercio Como-Lecco - poi vengono presi in considerazione numerosi ambiti specifici, dalla parità salariale alla flessibilità dell’orario per agevolare la conciliazione tra lavoro e sfera personale. Il bando regionale, del resto, è scalato sulla dimensione delle aziende, più sale il numero dei dipendenti e maggiori sono le richieste.

La certificazione interessa tutti i settori di attività?

Quasi tutti i settori sono potenzialmente interessati (fa eccezione ad esempio l’industria mineraria). E informarsi è semplice. Sul sito di Unioncamere è disponibile il materiale relativo al roadshow effettuato lo scorso anno in ogni provincia.

Quali sono i vantaggi della certificazione?

I bandi sono uno strumento interessante innanzi tutto perché, banalmente, consentono alle aziende un significativo risparmio dal punto di vista economico (il risparmio economico è pari all’1% dei contributi Inps fino a 50mila euro). La certificazione inoltre determina una serie di premialità che possono fare la differenza nel caso di gare d’appalto pubbliche. Per applicare la parità in azienda del resto non è necessario fare salti mortali, il più delle volte si tratta di far valere le regole del buon senso e della giustizia sociale. In tantissime imprese la parità di genere è già realtà e la certificazione può essere lo strumento per acquisire consapevolezza di ciò che si fa e avviare un percorso in modo più organizzato con l’obiettivo di sostenere la crescita dell’azienda stessa. Il nostro è un contesto sociale e produttivo mediamente avanzato, chi è rimasto indietro deve ora aprire gli occhi e cominciare ad accettare che le donne in azienda non sono un problema, ma una risorsa.

Qual è il livello di consapevolezza su questo tema?

C’è ancora qualche resistenza. Qualche impresa percepisce la certificazione come una spesa da affrontare e non come una occasione di sviluppo.

E in generale, sulla parità di genere, come siamo messi?

C’è da fare. Ce lo dicono i dati anche se, a livello di statistiche, è bene avere sempre una corretta chiave di lettura per analizzare i numeri. La stessa definizione di “impresa femminile” - oggi per essere tale un’impresa deve fare capo a una donna per una quota non inferiore ai due terzi - è discutibile e non a caso è in atto un dibattito parlamentare per passare al 51%, cosa che farebbe aumentare di colpo del 14% il numero delle attività femminili. Il tema è di rilievo: è stato calcolato che se il tasso di occupazione delle donne raggiungesse quello maschile, si avrebbe un incremento del Pil europeo di circa 10 punti percentuali.

E come si spiega l’attuale situazione critica?

Si deve, al di là dei problemi di fondo della nostra società, anche al periodo pandemico, quando l’occupazione ha avuto un calo brusco e, come sempre accade in queste circostanze, sono state le lavoratrici, spesso con contratti precari o part time, a pagare il prezzo più alto con l’uscita dal mercato del lavoro. Un fenomeno a cui si è associato, ora come nel passato, l’aumento delle imprese a conduzione femminile, a riprova che le donne, quasi sempre, desiderano rimettersi in gioco di fronte alle difficoltà, in un contesto dove spesso uno stipendio in famiglia non è sufficiente. Aggiungo infine che favorire l’occupazione femminile, lo dice l’esperienza dei Paesi nordeuropei ma anche della Francia, significa anche sostenere l’aumento della natalità, circostanza, come noto, di particolare rilievo in un Paese come il nostro che si trova in pieno inverno demografico.

Ciò che qui manca sono i servizi.

Il Pnrr sostiene, come noto ,la realizzazione di nuovi asili nido. Qualcuno può pensare che si tratti di un investimento inutile, ma non è così. Si tratta di strutture fondamentali per sostenere famiglie che si trovano a crescere i figli spesso senza alcuna rete sociale di riferimento. Senza i servizi non c’è possibilità di valorizzazione delle risorse umane, delle donne in particolare. E non è un problema da poco se pensiamo alle difficoltà che incontrano le aziende nel reperimento della manodopera.

La crescita dell’occupazione femminile potrebbe contribuire a limitare il mismatch?

Uno degli ambiti in cui si concentra il lavoro del nostro Comitato è l’orientamento. È un tema chiave e ogni anno organizziamo una giornata nelle aziende con le ragazze di seconda media con l’obiettivo di dare loro un ventaglio completo delle occasioni che si presentano per il futuro. Le donne devono poter valutare ogni tipo di percorso, non solo quelli tradizionali legati ad esempio all’insegnamento o all’assistenza.

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