Sampietro, la crisi e il rilancio. «Ora Como deve fare sistema»

Tessile Il Gruppo ha concluso con esito positivo la fase di ”composizione negoziata”. «Ultimi due anni drammatici: fatto ogni sforzo per ridurre i costi e riorganizzare l’azienda»

Como

Il Gruppo Sampietro ha concluso con parere favorevole dell’attestatore finale la Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, percorso al quale ha deciso di accedere per dare avvio al proprio piano di risanamento. L’azienda è guidata oggi da Andrea e Maurizio Sampietro, fratelli e amministratori delegati, che ci hanno raccontato cosa è successo in questo anno impegnativo e fondamentale per le sorti del Gruppo, ma anche più in generale della crisi che sta vivendo il tessile e di cosa si potrebbe fare per rendere la scacchiera del mercato più equilibrata.

Cosa è successo al comparto negli ultimi anni?

C’è stata una contrazione molto significativa del lavoro, non solo nel Comasco, ma anche nel Biellese e nel Pratese. Il blocco di tre-quattro mesi imposto dal Covid ha fatto sì che le stagionalità, che prima erano abbastanza ben consolidate nell’arco dell’anno lavorativo, venissero sconvolte. Non si sono svolte sfilate o fiere e i magazzini sono rimasti pieni. Il 2021 è stato piuttosto difficile, poiché si stavano ancora smaltendo le scorte prodotte prima della pandemia. Nel 2022 invece la domanda è esplosa, perché non c’erano più giacenze. I due anni successivi, 2023 e 2024, hanno invece praticamente bloccato l’intero comparto tessile e della stampa.

Per quanto riguarda le certificazioni in materia di sostenibilità, ciascuna delle quali richiede tempi lunghi e un significativo impiego di risorse economiche e umane, come riescono le aziende a gestirne l’ottenimento e il mantenimento?

Dall’Europa arrivano indicazioni su cosa bisognerebbe fare, ma senza una reale comprensione dei processi produttivi, normative molto spesso discutibili che hanno messo in ginocchio interi settori. Tessitori, tintorie, stamperie e tutti i soggetti del comparto hanno l’obbligo di dotarsi di certificazioni per poter lavorare. I brand pretendono queste certificazioni, ma non sono obbligati a essere loro stessi certificati. Speriamo che il confronto che si sta svolgendo in questo momento sulla “Certificazione unica di conformità delle filiere della moda” porti a una soluzione normativa efficace e condivisa. Il punto è che se il cliente ti chiede una certificazione specifica, ma in quel momento non ce l’hai, perdi il lavoro. Non gli importa chi sei o che azienda rappresenti, a loro interessa solo la certificazione

Gli audit, con richieste e criteri specifici diversi per ciascun brand, rendono lo scenario ancora più complesso. Come influiscono sul lavoro delle aziende queste differenze?

Tutti sono stati costretti a correre ai ripari, assumendo personale dedicato e rimodulando, almeno in parte, l’organigramma aziendale, inserendo figure che si occupassero di queste attività. Gli audit vengono spesso condotti a sorpresa in un clima non sereno. In un caso, nonostante avessimo chiesto un semplice range di date per poterci organizzare, si sono presentati senza alcun preavviso. L’HR non era presente e siamo stati costretti a gestire tutto in emergenza, recuperando e consegnando la documentazione richiesta. Sarebbe bastata una telefonata per fissare l’audit il giorno successivo con il nostro consulente esterno e tutto sarebbe stato più semplice

Quando avete deciso di avviare la Composizione Negoziata?

I nostri conti stavano andando su una strada non positiva e per cercare di recuperare la situazione abbiamo intrapreso la Cnc. Il percorso è durato un anno e si è svolto sotto la supervisione di un esperto nominato dalla Camera di Commercio Como-Lecco. Adesso ci troviamo in una situazione in cui riteniamo di aver fatto il massimo per ridurre tutti i costi e riorganizzare sia la produzione sia l’area commerciale. Da qui in avanti, speriamo solo che ci sia lavoro, se non ci sarà, avremo comunque tentato il possibile, ma purtroppo non sarà bastato. Negli ultimi due anni, la situazione per il settore è diventata davvero drammatica. Tutti, chi più chi meno, hanno dovuto affrontare questo scenario e cercare soluzioni. Noi abbiamo provato a farlo in questo modo.

Cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione del tessile?

Un intervento certamente fondamentale sarebbe una riduzione significativa dei costi energetici, considerando che l’Italia è tra i Paesi in cui il settore produttivo sostiene prezzi dell’energia più elevati. Questo avrebbe un impatto diretto sulla diminuzione dei costi complessivi. Sarebbe necessario inoltre avere più visione, collaborare tra aziende. Se riuscissimo a fare sistema, le sinergie ci permetterebbero di avere l’intera filiera sotto controllo, garantendo una tracciabilità completa del prodotto, eventualmente estesa anche alla fase di confezionamento. A quel punto si potrebbe ricominciare ad avere voce.

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