Alluvione, un mese dopo tra promesse e fatti

È passato un mese da quando una fetta consistente dell’Emilia Romagna è stata devastata da un’alluvione di proporzioni gigantesche. Il disastro aveva scosso le coscienze dell’intero Paese. Le tragiche conseguenze dell’inondazione avevano, peraltro, messo a nudo quanto fossero fragili le strutture che avrebbero dovuto almeno limitare i danni causati dalla furia della natura. Un disastro epocale in termini di vite umane e in termini di conseguenze per l’economia di quella florida parte del nostro territorio. Una calamità che si ripercuoterà per anni sull’economia con risvolti enormi sulle aziende, sull’agricoltura, sulle famiglie. Si sa bene che ci vorranno anni di duro e intenso lavoro per “riallineare” l’economia di quella parte della Regione.

Di fronte a questo scenario si è avuta una doppia risposta, tipica del nostro strano Paese. Da un lato è emerso, ancora una volta, lo spirito di abnegazione che ha visto protagonisti singoli cittadini e tutori dell’ordine e della sicurezza. Sull’onda della commozione vastissima è stata la partecipazione, soprattutto dei giovani, tesa ad aiutare la popolazione colpita. Dal canto loro le istituzioni si sono mosse con rapidità e concretezza: Vigili del Fuoco, Carabinieri, Polizia di Stato hanno fatto a gara nel soccorrere feriti, nel provvedere a mettere in sicurezza le persone. Tutti hanno potuto osservare lo spirito di sacrificio di coloro che hanno fronteggiato a mani nude la devastazione causata dall’alluvione. Dall’altro lato, si è assistito a un cumulo di promesse da parte del potere centrale. Dichiarazioni, visite lampo, interviste, incontri con i responsabili delle amministrazioni locali si sono susseguiti senza sosta per settimane. Poi il silenzio, ma soprattutto lo stallo.

Le risorse economiche indispensabili sia a risarcire i danneggiati, sia a far ripartire l’economia locale sono state decise, ma non ancora stanziate. Il presidente della Regione ha più volte chiesto, anche a nome dei sindaci dei comuni colpiti, che venissero erogate le somme stanziate, ma senza esiti visibili.

Nel frattempo è susseguita la ridda delle voci sul nome del Commissario governativo da nominare e sui poteri da conferirgli. Scelta necessaria affinché potesse partire l’opera di ricostruzione e di rilancio dell’economia della zona.

Da più parti è ipotizzato che l’incarico potesse essere conferito al presidente dell’Emilia Romagna, Bonaccini, data la sua esperienza e i suoi rapporti con le amministrazioni locali. Ma non se ne è fatto nulla: il tempo è continuato a passare e i problemi hanno continuato ad aggravarsi giorno dopo giorno. Finché giovedì è stato tirato fuori il coniglio dal cappello.

Si è deciso che il coordinatore dell’azione di ripresa sarà il ministro per la Protezione civile, che formerà un “tavolo di lavoro” dai cui componenti dovrà essere coadiuvato.

Non si poteva fare scelta peggiore. Per due ordini di motivi. Sul piano istituzionale la soluzione disloca a palazzo Chigi (e dintorni) il centro decisionale. Sul piano funzionale la nomina di un organismo collegiale, presieduto da un componente dell’esecutivo sarà il presupposto di continue mediazioni, laddove sarebbe necessaria una guida unica con adeguati poteri e con responsabilità personale.

Ma tant’è. Con questa scelta il governo conferma la sua vocazione accentratrice, non dichiarata, ma resa tale dai fatti. La giustificazione di tale inclinazione è sempre la stessa: “Abbiamo vinto le elezioni e abbiamo il diritto di fare qualunque scelta”. Così si dimentica che, in democrazia, chi ha la maggioranza ha sì il diritto di governare, ma non può dimenticare che esistono contrappesi ai quali spetta il compito di bilanciamento dei poteri.

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