Ci siamo dimenticati
cos’è stato il Novecento

“Viaggio al termine della notte”, uno dei capolavori del più grande scrittore del secolo scorso, è il romanzo che meglio rappresenta il Novecento. Nessuno più di Céline, in quel totem, ma anche in tutto il resto della sua opera, ha raccontato, sezionato e sviscerato i gangli nodali del secolo più grandioso e terribile e sanguinario e demoniaco della storia dell’umanità.

Chi, per paradosso, avesse avuto la ventura di nascere il primo gennaio del 1900 e morire il 31 dicembre del 1999 avrebbe potuto dire a pieno titolo di essere stato testimone di un’avventura che non ha precedenti e, tutto lo fa pensare, neppure eredi. Perché ha vissuto tali e tanti sconvolgimenti, accelerazioni, sofferenze e, soprattutto, tali e tante stragi che l’umanità non aveva mai visto prima e ben difficilmente - ma non sottovalutiamoci - potrà vedere in futuro. E tutta quella roba lì, quel materiale incendiario e devastante, quell’umanità capace di tutto, una volta liberata dalle catene del limite etico e religioso, una volta dispiegato l’istinto prometeico, la foia della manipolazione, il delirio infernale, scespiriano del potere assoluto su di sé e sugli altri, è distillata nell’opera fluviale dell’iracondo, disturbante, bestemmiatore genio francese.

Questa lezione - chi può, approfitti per rileggerlo in questi giorni di clausura - torna particolarmente utile perché noi, figli di questi tempi bolsi e cellulitici, non abbiamo un’idea piena di quello che sono stati per davvero gli uomini che hanno abitato il Novecento. E che poi non sono mica dei marziani, non sono soggetti lontanissimi e sconosciuti come l’uomo delle caverne, quello del Medioevo o quello del Rinascimento. Quegli esseri lì non sono altro che i nostri padri e i nostri nonni, persone che abbiamo conosciuto perfettamente, non è così? E invece no. Forse così non è, perché se sapessimo per davvero cosa hanno passato - tutti - avremmo un atteggiamento molto, ma molto diverso nei confronti del coronavirus.

All’inizio, l’uomo del Novecento - i nostri genitori, i nostri nonni - si è fatto la prima guerra mondiale - diciassette milioni di morti, un milione e trecentomila solo in Italia - e chi la conosce sa quali patimenti indicibili abbiano sopportato i soldati delle trincee, quali stragi inaudite abbiano contabilizzato le grandi battaglie di quegli anni - il bilancio ad oggi del Covid-19 è di 4mila morti, una cosa spaventosa, certo, che però è quella prodotta in un pomeriggio dalla sola battaglia di Verdun, 900mila di morti in totale - e come ogni paesino della Francia, ma anche dell’Italia, abbia visto sparire intere classi di età: classe 1890 nessun superstite, classe 1891 due superstiti, classe 1892 un superstite, classe 1893 tre superstiti...

Poi, l’uomo del Novecento è stato travolto dall’influenza spagnola - 50 milioni di morti - un virus feroce a confronto del quale, come sostiene il massimo virologo italiano Ilaria Capua - oggetto qualche anno fa di una delle più schifose, luride, ignobili e vomitevoli campagne di stampa mai viste, perché anche di questa fogna è fatto il giornalismo italiano - il Covid-19 è una barzelletta. Poi, l’uomo del Novecento ha vissuto la Grande Depressione - 7 milioni di morti negli Usa - la crisi economica più devastante dell’era contemporanea, che ha ridotto alla fame intere nazioni e ha ispirato a John Steinbeck, nel suo “Furore”, il finale forse più commovente e straziante della storia della letteratura.

Ma non è finita. Perché poi l’uomo del Novecento ha visto l’emergere degli autoritarismi: quelli classici alla spagnola e alla portoghese, quelli parzialmente totalitari all’italiana, quelli pienamente totalitari alla tedesca e alla sovietica, oltre a quelli fascistoidi dell’area balcanica, e alla conseguente eliminazione di massa su base biologica - 6 milioni di morti solo tra gli ebrei nei lager - o su base sociale - 3 milioni di morti nei gulag più 7 milioni di kulaki per la collettivizzazione delle campagne - perché i comunisti, in quanto a stragi di massa, ai nazisti gli danno la biada. E senza contare il comunismo all’asiatica, che in Cina e in Cambogia ha toccato vette di particolare raffinatezza. E così, l’uomo del Novecento ha visto pure la seconda guerra mondiale - 70 milioni di morti - e l’instaurarsi dopo la sua fine non certo della pace universale, ma, su mezza Europa, della dittatura più lunga, allucinante e orwelliana mai apparsa sulla faccia della terra. Senza contare i colonnelli sudamericani, gli stermini tribali africani e gli scannatoi jugoslavi, con il contorno di epidemie, pandemie e carestie assortite.

E infine, l’uomo del Novecento, e su questo Céline ha scritto pagine memorabili, ha visto il cielo svuotarsi di tutto: niente più Dio, niente più Provvidenza, niente più natura benigna, niente di niente, un’enorme massa solitaria, gente sradicata, gregge senza indennità, popolo bue annientato, annichilito, cloroformizzato, plagiato, indottrinato, schiacciato dalle ruote della produzione, del consumo, dell’alienazione, della depressione, della solitudine, stavolta sì assoluta e definitiva.

Questo è stato il Novecento, ecco la verità. E conta ben poco che nel frattempo le condizioni di vita siano migliorate in grado esponenziale, perché la cifra del secolo breve è proprio quella roba lì. E noi, noi senza memoria, noi figli della dimenticanza, del benessere garantito a prescindere, noi miracolati - unici nella storia a godere di settant’anni di pace e prosperità - pensiamo che i primi venti anni del nuovo secolo siano stati tragici perché abbiamo visto l’11 settembre, la crisi del 2008 e ora il coronavirus. Ma lo diciamo e ci terrorizziamo solo perché siamo ciechi. E ignoranti. E arroganti. Da sempre e per sempre il carro della storia procede, cigolante e inesorabile, su un sentiero lastricato di cadaveri: conoscere il suo percorso ci regalerebbe tanta saggezza, un po’ di fatalismo e, soprattutto, ci eviterebbe di coprirci di ridicolo di fronte ai nostri padri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA