Cincinnato Letta
nel partito dei “senza”

È il ritorno di Cincinnato, richiamato a furor di popolo: anche se Enrico Letta, in questo periodo di distacco dalle vicende di partito e governo, non ha coltivato l’orticello, ma le generazioni future con la scuola di politica. E ora si prepara a una battaglia davvero tosta. L’ex ministro e presidente del Consiglio sembra l’unico esponente con qualche chance di portare fuori il Pd dell’impasse in cui era precipitato anche prima che Nicola Zingaretti sbattesse la porta del Nazareno. Molti lo invocano, qualcuno non lo ama, altri lo temono.

Lui, pure consapevole della portata dell’impresa, ne è tentato, forse perché ha poco da perdere e, in caso di successo, molto da guadagnare: magari anche una “wild card” per la corsa al dopo Mattarella in concorrenza con Mario Draghi. Di certo anche il Pd non ha molto da smenarci se non il consenso elettorale.È il partito dei senza: non ha un’identità non ha una linea e non ha leader al proprio interno. Vanta un buon personale nell’apparato, ma nessuno che possieda i cromosomi di un De Gasperi o di un Togliatti. Anche tra le donne di cui si è molto dibattuto dopo le nomine ministeriali tutte al maschile, non sembrano alle viste una Nilde Iotti o una Tina Anselmi. Ecco allora l’idea Letta, che, quantomeno, dispone di una solida credibilità, di una robusta cultura politica e di un giro di importanti rapporti internazionali. Sarebbe una sorta di “Papa straniero”, vista la sua scelta di esiliarsi dall’ambiente dopo lo “stai sereno” con cui Matteo Renzi lo spodestò a palazzo Chigi: memorabile la glaciale cerimonia dello scambio della campanella.

Il papabile si è preso 48 ore per riflettere e ha posto qualche condizione per garantirsi un minimo di stabilità in un consesso che cambia i segretari più o meno come le cravatte: innanzitutto l’unità, concetto piuttosto utopico da quelle parti e poi la garanzia di non essere un mero reggente, ma di restare in carica per gestire i prossimi cruciali appuntamenti tra cui quelli dell’elezione del presidente della Repubblica e del voto dopo la fine della legislatura o quando sarà.

Da buon milanista, Enrico Letta è uno che ama giocare aperto e, in quanto tifoso anche del basket Cantù ha imparato certo, in queste ultime annate brianzole, anche a soffrire. Inoltre, come dimostrano i suoi scritti, possiede una capacità di visione del futuro e si presenta con il look un po’ Nerd del secchione bravo ragazzo a cui ogni madre affiderebbe volentieri la figlia.

Sarà chiamato, se accetterà, a trovare dei “con” cui rimpiazzare i “senza” del Pd e a guardarsi sempre alle spalle perché il Nazareno è il luogo degli agguati. Le controindicazioni riguardano soprattutto i gruppi parlamentari, spine nel fianco anche di Zingaretti, in buona parte ancora vicini a colui che gli eletti, cioè il grande nemico di Letta, Matteo Renzi che è riuscito a condizionare la linea dei “dem” sia in occasione della nascita del governo Conte due, sia nella sostituzione di quest’ultimo con l’esecutivo Draghi. Se Letta non vorrà ritrovarsi costretto ad andare a rimorchio, come è capitato al suo eventuale predecessore, dovrà trovare un modus vivendi accettabile. La sua capacità di mediazione, in parte mutuata da zio Gianni, grande tessitore nel campo berlusconiano, potrà giovargli. Di certo il Pd ha bisogno di una guida che rivolga la prua al futuro e non al passato di cui sembra campare la pattuglia del Nazareno. E magari Letta potrà anche mettere a frutto le sue capacità di formatore per costruire in avvenire, un’alternativa anche generazionale, all’attuale gruppo dirigente. E non è detto che per trovarla si debba per forza pagar pegno alle Sardine. Comunque vada, a chiunque abbia il coraggio di occupare la sedia, ancora una volta lasciata vuota, di capo branco di un Pd preso a ceffoni come quello dei “Brutos” finanche da Rocco Casalino, bisogna concedere un incoraggiamento, a prescindere dalle convinzioni politiche.

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