Cinquestelle la nuova sinistra? Ma va’

è dai giorni del clamoroso disastro elettorale che negli scombiccherati accampamenti degli sconfitti si dibatte e si discute e ci si arrovella sul significato della parola “sinistra”. Chi è di sinistra? Cos’è la sinistra? Dov’è la sinistra? Roba fresca…

Ma non solo, perché, sale sulle ferite già sanguinanti di loro, a questo dibattito nannimorettiano si aggiunge anche l’amarissima constatazione dell’imprevisto e oggettivamente clamoroso recupero dei 5Stelle, dati per morti, spariti e spacciati e invece capaci nel giro di poche settimane di guadagnare fior di punti, con risultati strabilianti in alcune regioni del sud.

Da qui l’angoscioso interrogativo. Non è che quelli veramente di sinistra sono loro? Non è che avergli lasciato l’esclusiva di temi davvero “de sinistra”, come direbbero a “Propaganda live”, quali il pacifismo senza sé e senza ma, come si è visto nella torrenziale manifestazione di ieri, e soprattutto il reddito di cittadinanza, abbia aperto ai seguaci di Conte una vera autostrada nel campo di Agramante dei progressisti? Insomma, è possibile che al Pd tocchi l’identico destino del partito socialista francese, che ha determinato larga parte della vita politica del dopoguerra - basti pensare all’infinita era Mitterand: quasi una monarchia, più che una presidenza… - e che ora è ridotto a percentuali irrisorie? E quindi, non è che alla fine di un lungo giro intorno a se stessi, ora la sinistra è rappresentata solo dai 5Stelle?

A prima vista potrebbe sembrare proprio così, innanzitutto perché lì, dopo il suicidio di Di Maio (Di Maio chi?), la leadership è chiarissima, a confronto del caos che impazza nel partito democratico. Poi, perché anche la linea è chiarissima, grazie al vantaggio competitivo di stare finalmente all’opposizione, e all’opposizione di un governo di destra, di brutti sporchi e cattivi, di gente di malaffare, una roba che aiuta tanto a ululare ogni notte alla luna “mamma, li fasci!”. E questa linea consiste, come si diceva, in due sole cose: pace e reddito di cittadinanza.

Ora, se vogliamo cercare di andare un po’ in profondità, bisognerebbe interrogarsi sulla reale “sinistrità” dei 5Stelle, che, almeno ad avviso di chi scrive, non sono affatto di sinistra. Che c’è di sinistra nel reddito di cittadinanza, almeno nella declinazione all’italiana, che ben poco ha a che fare con le misure di aiuto selezionato e temporaneo in vigore in Europa? Che c’entra la sinistra e quindi, l’uguaglianza, il progresso, l’affrancamento dal bisogno, la dignità dei lavoratori e bla bla bla con la cultura del sussidio? Che c’entrano i sussidi a pioggia e a fondo perso con una società più equa, giusta e solidale? Non c’entrano niente, questa è la verità. Mentre c’entrano molto con il consenso peloso, con la clientela di sussistenza e soprattutto - vogliamo dirla tutta? - con il voto di scambio. Perché quando in certe aree del paese e in certi posti abbandonati da Dio prendi all’improvviso il 70% dei consensi o sei il nuovo De Gasperi - e invece no, perché lì De Gasperi, che era uno statista, avrebbe preso il 3% - oppure sei Masaniello o Poujade o Giannini, quello dell’Uomo Qualunque.

Il sussidio non è di sinistra, o almeno di una sinistra vera. E non è neppure di destra, di una destra vera. Il sussidio, la filosofia del sussidio, il mantra del sussidio, il totem, il monolito, la Dea Kali del sussidio, è lo strumento più reazionario e regressivo e populista e, appunto, qualunquista che si possa utilizzare per tenere a bada la “gggente”, il popolo bue, la massa, la plebe, che vive di quello e solo di quello, e visto che non sa fare niente, perché non c’è istruzione scolastica qualificata, non c’è istruzione universitaria superiore, non c’è struttura imprenditoriale e professionale, non ci sono infrastrutture, insomma, non c’è niente, non ha altra alternativa che attaccarsi al capezzolo clientelare dello Stato, del governo, del boss del quartiere, del viceré, del padrone.

Bene, se è così, quelli non sono cittadini. Quelli sono servi. E una sinistra seria - così come una destra seria, che invece seria non è, visto che non vede l’ora di mandarci tutti in pensione a 50 anni e che vive di quiescenza, di senescenza, altra insopportabile forma di clientelismo elettorale - dovrebbe combattere la servitù, non foraggiarla con i soldi pubblici. Il cittadino, per essere tale, il pane se lo guadagna, non se lo fa elargire dalla solidarietà farisea dell’Achille Lauro di turno. Un governo deve realizzare le condizioni che permettano a un sano tessuto imprenditoriale privato, ma anche pubblico, di germogliare e assumere così professionisti capaci e meritevoli - meritevoli, capito cervelloni dei salotti radical chic? meritevoli: il merito è tutto nella vita, il merito è l’unica cosa che possono far valere i morti di fame per aspirare a un’esistenza migliore - che si guadagnano uno stipendio e sono in grado di aggiornarsi e stare sul mercato. Poi si aiuta chi non ce la fa, chi rimane indietro, non si abbandona nessuno, ma prima di tutto si formano individui colti ed autonomi, che non hanno bisogno di andare a piagnucolare dalla mamma per mettere insieme il pranzo con la cena.

Non c’è niente di sinistra in quella prosopopea, in quei reel declamatori, in quella retorica tartufesca. Niente di niente. C’è solo la solita eterna italietta da quattro soldi, quella della pizza e del mandolino, dei liberali alle vongole, del paternalismo gattopardesco per il quale basta declamare in piazza “e lo Stato dov’è?” e “pace! pace!” per mettersi a posto la coscienza e andare avanti a farsi gli affaracci propri.

D’altronde, quando uno è stato presidente del Consiglio prima con Salvini e poi, in men che non si dica, con Letta, facendo un secondo dopo l’esatto contrario di quello che faceva un secondo prima, si pone a pieno titolo nel Pantheon degli statisti della nazione. Quella che non ha mai finito una guerra con l’alleato con cui l’aveva iniziata e quella dove non si vince e non si perde, ma ci si mette tutti d’accordo.

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