Coronavirus: le parole
sono molto importanti

“Fermate il mondo, voglio scendere”, diceva un fortunato slogan d’antan. Ora, a parte il desiderio di una macchina del tempo, di una tecnica di ibernazione, di un ipnotismo che ti faccia cadere in un sonno lungo sei mesi, e a parte il virus stesso, ci si mette anche il modo di comunicare a generare nuove angosce. Quella di venerdì davvero è stata una giornata da stati di allucinazione e panico permanente.

A colazione ci hanno servito con il caffellatte la faccenda del morbo che si diffonderebbe nell’aria a distanze ben superiori al metro d’ordinanza. E non era il solito video che l’amico molesto ti gira su whatsapp, ma l’Organizzazione mondiale della sanità, massima autorità in materia. E quindi? Tutti con la mascherina permanente? Ma forse, anzi no. Perché poco dopo compariva l’Istituto superiore di sanità per smentire e invitare più o meno gli astanti a fare la prova del nove sputando davanti allo specchio, a distanza variabile, come in una commedia all’italiana di serie zeta con Lino Banfi. E noi qui a godercela con l’ansia e il dubbio, corroborati dal virologo statunitense Anthony Fauci (non è colpa sua, ma quel cognome…) per cui il solo parlarsi diffonderebbe il contagio a macchia d’olio. E il povero Enrico Mentana a rendere tragicamente concreto il suo soprannome “Mitraglia”. Scherzi a parte e fatto salvo il diritto di espressione di chiunque, la gente, almeno dalle fonti più accreditate, vorrebbe certezze. Perché di posto in cui riporre le paturnie non ne abbiamo più.

E a dimostrare che quella dell’altro ieri sia stata una giornata più storta delle altre sul versante della comunicazione istituzionale, ci si è messo pure Angelo Borrelli, capo della Protezione civile e commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus. Vero che il dover tutti i giorni sciorinare alle 18 in punto puntuale come una tazza di tè in Inghilterra un’ora prima, un bollettino di guerra, prima o poi ti fa slittare la frizione. E così allo sventurato Angelo, scomodato per un’intervista prematura, è sfuggito che le limitazioni in vigore sarebbero andate avanti almeno fino al 1° maggio, la festa del lavoro più fuori asse della storia, ahinoi. E i cieli, giustamente, si sono spalancati. A parte che i più questa idea se l’erano già fatta e magari tentavano il possibile per esorcizzarla, soprattutto coloro che sono rimasti fermi con le loro attività, che bisogno c’era di esplicitarla così, senza uno straccio di provvedimento ufficiale? Tant’è che poi di fronte a rivolte e malumori anche dall’interno del governo, Borrelli è stato costretto a una malaccorta piroetta per spiegare che sì, però, forse e comunque il decreto vale fino alla scadenza prefissata che lui è stato frainteso. Per non parlare della fresca polemica di ieri con il presidente della Regione Lombardia sull’obbligo di circolare (se si è obbligati) con il volto protetto. Qualcuno fa capire chi ha ragione a noi poveri ometti mascherati?

Per carità uno scivolone ci può stare, ma gli effetti rischiano di essere devastanti, anche dal punto di vista psicologico. Perché qualcuno, e non pochi magari, di fronte all’ufficializzazione del prolungarsi della quarantena, non è riuscito a trattenersi e si è riversato in strada. Rischiando di peggiorare la situazione ,oltre che di essere giustamente sanzionato. Anche perché sui tempi della fine della clausura abbiamo fatto più di una doccia scozzese.

Ben venga l’informazione ufficiale che ha l’obbligo però dell’esattezza oltre che della trasparenza. In uno dei più bei film di Nanni Moretti, “Palombella Rossa”, la parte forse più riuscita è quella della risposta del pallanuotista interpretato dall’attore regista a un’intervistatrice un po’ approssimativa e ben fornita di luoghi comuni: “Come parla!!! Le parole sono importanti”. Ricordiamocelo ogni tanto.

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