I messaggi di Draghi al governo che verrà

Avrebbe potuto togliersi svariati sassolini dalla scarpa, Mario Draghi, nel suo discorso al Meeting di Rimini, uno degli ultimi da presidente del Consiglio. E a modo suo lo ha fatto, ma rigorosamente secondo lo stile “alto” dello statista, schivando il rischio di essere coinvolto in una polemica da parte di chi è stato il destinatario di uno scapaccione.

Esempio: come leggere quel passaggio in cui Draghi ricorda che prima di lui, e prima della guerra in Ucraina, l’Italia dipendeva dal gas russo quasi per la metà del suo fabbisogno, un’assurdità se si considera che “Mosca non ha dimenticato il suo passato imperiale”, un autentico attentato alla sicurezza (energetica) nazionale fatto per ragioni che Draghi si guarda bene dall’ipotizzare ma che pure tutti possono farsi venire in mente (superficialità? Interessi nascosti? Tentativo di spostare la collocazione geopolitica dell’Italia?). Una cosa è sicura per il presidente del Consiglio: questo “non deve succedere più”.

Utile premessa per rivendicare i risultati del governo che ha largamente diminuito la dipendenza da Putin, ha allargato il numero dei fornitori di gas, ha incrementato le scorte e ha pronto il piano per affrontare l’autunno-inverno. E Draghi lascia un compito a chi verrà dopo di lui: al prossimo Consiglio europeo si discuterà della sua proposta di un tetto europeo al prezzo del gas e bisognerà sostenere la tesi con autorevolezza, dote quest’ultima che cita più volte nel discorso come fondamento del prestigio del Paese.

Viene da chiedersi se Draghi non voglia così implicitamente sottolineare che il suo successore, per sostenere la proposta del “price cap” di fronte a chi si oppone, dovrà esibire un’autorevolezza almeno pari a quella del proponente. Cioè a lui medesimo. Ma è solo un pensiero malizioso.

Altro aspetto, il sovranismo. Draghi ricorda che da sola l’Italia non va da nessuna parte, è inutile gonfiare il petto. Meglio restare fedeli alle nostre alleanze ed essere coerenti: era forse un atteggiamento “sovrano” – si chiede - concedere a Putin le chiavi della nostra sicurezza energetica? Si deve essere coerenti con la nostra storia e “stare al centro dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica” perché “protezionismo e isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale” e con la nostra credibilità, altro termine tornato in più passaggi dell’applauditissimo discorso di Rimini.

Anche per sostenere che, se si vuol cambiare il sistema UE delle leggi di Bilancio, bisogna mettere sul piatto la serietà dei comportamenti e delle concrete politiche. Quindi – qui un altro messaggio in codice - chi spara a vanvera promesse elettorali prive di concretezza, sappia che dovrà sedersi al tavolo di Bruxelles e dimostrare di non essere un venditore di fumo.

A questo punto naturalmente è entrato di diritto il discorso sul PNRR, sulla realizzazione da parte del governo uscente di tutti gli obiettivi fin qui fissati per ottenere le prima due tranches degli anticipi, sullo sforzo da fare per completare il più possibile l’opera “prima che entri in carica il nuovo esecutivo”. Parole da cui trasuda tanto di quello scetticismo da essere per un momento, ma un momento solo, una dimostrazione di imprudenza da parte di Draghi. Il quale naturalmente ricorda (e rivendica) che in quest’anno l’Italia è cresciuta più della media europea e più della Francia e della Germania. Poi quasi una sfida ai nuovi inquilini di palazzo Chigi: “L’Italia supererà le difficoltà di oggi che appaiono insormontabili come noi abbiamo superato i problemi che ci siamo trovati di fronte”.

Si potrebbe infine leggere in controluce la frase in cui il presidente del Consiglio dice che qualunque governo ci sarà dopo settembre dovrà mantenere lo spirito repubblicano di libertà, di democrazia, di tolleranza. Ma ripetiamo, nessuno ha avuto il coraggio di controbattere al discorso riminese. Anzi Giorgia Meloni ne ha abilmente tratto motivo di soddisfazione dicendo che Draghi non prevede nessuna catastrofe con l’arrivo di un nuovo governo (che poi sarebbe il suo, della Meloni e dei suoi alleati). Del resto la leader di Fratelli d’Italia si trova a proprio agio nell’applaudire le parole con cui Draghi ha motivato la fermezza dell’Italia nello schierarsi a favore dell’Ucraina e contro l’invasore russo. La Meloni questa prova di credibilità “atlantista” l’ha già superata quando ha votato (come la maggioranza di governo di cui non faceva parte) l’invio di armi e aiuti vari a Kiev.

Conclusione. Con questo discorso Draghi non ha tradito se stesso: tenendo la barra ferma sull’interesse nazionale e la fiducia nell’Italia “grande Paese”, si è confermato uomo super partes, ha ricordato quello che ha fatto, ha ammonito chi gli succederà a fare altrettanto bene, e si è seduto comodamente sulla panchina della cosiddetta “riserva della Repubblica”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA