Il bicchiere del Como non è ancora mezzo pieno

La piazza, e non solo quella più calda, sembra aver deciso. Il bicchiere della media inglese, per parafrasare la fortunata trasmissione il mercoledì sul nostro sito, è mezzo pieno. Senza se e senza ma. Evviva il Como, salvo per la seconda stagione consecutiva in serie B. Ed evviva la società, che ha portato tutti fin qui e ha già deciso di alzare l’asticella in vista del prossima stagione.

Ma ci sono anche quelli, inevitabili, del boccale mezzo pieno. Arrivare a due punti dai playoff, nella stagione dei 17 – sì avete letto bene: 17 - pareggi è un po’ come andare a Roma e non vedere il Papa. Troppe occasioni buttate al vento (pensate solo se il Bari non fosse arrivato al pareggio al 98’ o Cerri non avesse fallito il rigore con l’Ascoli) in un campionato in cui, a un certo punto, tutti (e sono solo gli azzurri) giocavano a “ciapa no”. La squadra di Longo ha chiuso con gli stessi punti della passata stagione, con due grandi differenze: l’anno scorso ci si salvò una vita prima – e non alla penultima come stavolta – ma i playoff quella squadra non li vide nemmeno con il binocolo, mentre stavolta è mancato giusto un successo e mezzo in più. Ed è tutto chiuso in queste considerazioni il più grande rammarico.

Si riparte da qui. Da un’asticella alzata, ma non troppo. Da gente che gioisce. Che chiama la squadra sotto la curva e applaude. E che ha consegnato il proprio destino nelle mani della società più ricca di tutte e di un management che ha portato la squadra tra le certezze della categoria. Certezza pressoché inattaccabile, fatta vacillare, durante il campionato, soltanto un paio di volte: dopo le cinque sberle prese a Modena, con la scena delle belle statuine davanti alla porta sui calci d’angolo, e al termine di Como-Sudtirol 0-2, quando la curva manifestò sotto le finestre della sede e alla presenza di un attonito Dennis Wise, Ceo del club.

Per il resto, decine di atti d’amore (soprattutto in trasferta) e una cambiale firmata in bianco al gm Carlalberto Ludi e compagnia. Ma la fiducia – nel calcio come in altri sport di squadra – ha la stessa volatilità della Borsa in tempi di guerre e domani, se non ricompensata, potrebbe trasformarsi nel più pericoloso trasloco di cartoni della storia. Il domani del Como, senza girarci troppo attorno, è già oggi. Anzi, ieri. Forse, meglio ancora, al triplice fischio del pareggio (l’ennesimo) a Cittadella.

La società dovrà rispondere con i fatti alle attese dei tifosi e alla promessa di arrivare ancora un po’ più in alto, nel terzo anno del progetto tecnico. E Longo – forse l’impresa più difficile – dimostrarsi non solo allenatore da obiettivo minimo, ma anche da spettacolo, così come chiede una proprietà che ha giusto in pancia, tra le tante, una delle più clamorose operazioni di comunicazione, trasmissione e marketing e che quindi non può accontentarsi del tecnico più sparagnino e conservatore della categoria.

Per lui - al di là delle sbandierate conferme di Wise, Ludi e se medesimo – saranno decisive le prossime settimane. Dalle indicazioni tecniche nell’allestimento della squadra, infatti, si capirà quel che vorrà fare. Poco contano i moduli, solo numeri freddi nelle mani di improvvisati, perché le cronache insegnano che si può veder vincere il City di Guardiola con il modulo difensivo a tre più spregiudicato del mondo o con i quattro centrali puri sulla linea davanti al portiere.

Spesso e volentieri, a dire tanto del destino di un’impresa sportiva, è il body language degli atleti, da noi – troppe volte– è toccato fare i conti con i segnali inviati dalla panchina. E, se in vantaggio, togli gli uomini di attacco o con i piedi buoni o di fantasia, a quelli rimasti in campo, che sempre di carne e sangue sono fatti, qualche messaggio inequivocabile arriva. A Longo – quindici pareggi su diciassette della stagione – va dato atto di aver lavorato su una squadra che si è trovato e non ha voluto (arrivando però a una manciata di giornate dal via), ma ora è giunto il momento di chiedere di smentire coloro che gli hanno appioppato la definizione di “mister X” (e non perché sconosciuto…).

A quelli del “tutto in fretta e subito” una sola annotazione finale: senza stadio, senza certezza di una rapida sistemazione del nodo stadio, anche la proprietà più ricca d’Italia sarà obbligata a girare con il freno a mano tirato. Accontentiamoci, allora, di non viaggiare a fari spenti nella notte, come troppe volte accaduto nel passato più recente, provando a fare professione di fiducia su quel che racconta la società: step by step. Fino alla serie A. Traguardo minimo di chi ha dato stabilità e certezze al giochino che tanto amiamo.

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