Il calcio rotola proprio come il paese

“In Italia la palla rotola, nella Premier league inglese scorre sull’erba”. Parole senza musica di Fabio Capello, intervistato da Walter Veltroni per un importante quotidiano nazionale, che mettono a fuoco in maniera fulminante la situazione del nostro calcio, a due giornate dall’avvio di quello che un tempo era il più bel campionato del mondo e che ora sprofonda nella mediocrità. Capello ha traghettato cinquant’anni di calcio da vincente, come calciatore prima e da allenatore poi (“grazie a Gianni Rivera”, confessa nell’intervista) e sottolinea come un tempo, pur con un gioco molto meno veloce di adesso contava il tocco in meno e quello in più era solo appannaggio di chi sapeva eccellere nel dribbling. Ora, nel campionato italiano, la sfera rotola perché latita chi sa giocarla alla rapidità siderale di oggi. Del resto, i talenti stanno in Inghilterra o sono emigrati in Arabia attratti dai soldi. E don Fabio, uno che conosce il vivere del mondo, giustifica questa apparente avidità perché la carriera di un giocatore ad alti livelli dura poco. Se, poi non ti sai gestire, al contrario di come ha fatto lui, sono dolori.

Però una volta la mecca del pallone era stata sposata in Italia. Tutti i campioni transitano da qui. Erano gli anni ’80, davvero favolosi. Facciamo il paragone. Il Milan che in quest’estate tutti dipingono come il re del mercato, ha comprato tanti magari bravi semisconosciuti. All’epoca era la squadra che doveva lasciare in panca i palloni d’oro. Nell’Inter, che pure è il team più attrezzato dal punto di vista tecnico, oggi l’acquisto di grido in attacco è Arnautovic. In quel periodo in nerazzurro giocava un certo Ronaldo, il fenomeno. Il Napoli, all’epoca non di primissima fascia, prima di Maradona aveva ingaggiato Krol uno degli artefici dell’Olanda bellissima e sfortunata del calcio totale. Un fuoriclasse come Zico si era addirittura adattato a vestire la maglia dell’Udinese.

Per tacer della Nazionale. Nel 1982, contro ogni pronostico, l’Italia di Bearzot vinceva il campionato del mondo surclassando uno dei Brasili con, almeno a centrocampo, il tasso tecnico più alto di sempre. Nelle ultime due edizioni della massima competizione gli azzurri hanno brillato per la loro assenza, eliminati nelle qualificazioni alla fase finale da potenze come la Svezia e, soprattutto, la Macedonia del Nord. Non era mai accaduto in precedenza, come è inedita la penuria di attaccanti degni di questo nome che ha spinto l’ex ct Mancini a ricorrere all’italo- argentino Retegui, oriundo, termine che rievoca un’altra epoca buia del nostro pallone.

Le cause di questo declino? L’arretratezza dei nostri impianti che scoraggiano gli spettatori (qui la perfida Albione è avanti non anni luce di più), le proprietà dei club principali lontani e poco propensi a investire, l’invasione di stranieri e la poca disponibilità a lanciare giovani talenti italiani che spesso vanno a brillare all’estero. Dura invertire la tendenza. Del resto, il declino del calcio potrebbe essere visto in maniera speculare a quello di altri settori. Magari qui non dobbiamo prendere lezioni dall’Inghilterra che, comunque dopo Margaret Thatcher ha espresso un Tony Blair, ma oggi vive ancora nel riflesso di BoJo. Negli anni ’80 però si confrontavano Berlusconi e Prodi. Dite: capirai… Va bene, oggi siamo a Meloni-Schlein ed è meglio, per carità di patria, non guardare chi c’è dietro di loro. Il calcio, per la sua popolarità, può anche essere lo specchio di un Paese. E gli exploit recenti, come la fortunosa vittoria agli europei del 2021 e il terzetto italiano nelle semifinali di champions della scorsa stagione sembrano frutti più del caso, fiammate di un fuoco ormai esausto. Ciliegina sulla torta un commissario tecnico che lascia la Nazionale attratto anch’esso dalle sirene arabe senza avere le giustificazioni che portava Capello per i giocatori. Pensate che un Bearzot, l’avrebbe mai fatto? La palla rotola e non scorre, come l’Italia

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