La dittatura degli sciocchi
combattuta dall’individuo

La dittatura dell’ideologia negli anni Settanta faceva paura perché quelli, alla fine, sparavano alla gente per strada, generalmente alla schiena. La dittatura negli anni Venti fa ridere perché quelli, alla fine, si coprono di ridicolo.

In questi giorni, mentre seguiamo con sempre minor interesse, anzi, con conclamata noia, anzi, con una crescente insofferenza, le vicende belliche in Ucraina - perché in fondo a noi che ce frega, una volta che ci viene garantito il weekend al mare e l’apericena con gli amici? – due fatti di costume a prima vista molto secondari hanno invece illuminato alcune crepe profondissime nella cappa di conformismo che domina il nostro sistema informativo.

Partiamo dal tema del cosiddetto doppio cognome, sancito da una pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la trasmissione automatica del cognome paterno ai figli, lasciando invece liberi i genitori di dare anche solo quello della madre oppure quello di entrambi. Ora, la riforma ha un suo senso, ma, come era facile prevedere, è stata caricata dai soliti noti - anzi, dalle solite note - di un abnorme significato esistenziale, antropologico, palingenetico, escatologico, come se quello fosse il primo colpo di piccone a tutta una ignobile società patriarcale, maschilista, machista, sessista, prevaricatrice dell’identità, della dignità, insomma, diciamocela tutta, della superiorità della donna, negletta, umiliata e offesa da generazioni e generazioni e ora finalmente in grado di riappropriarsi della propria identità trasmissibile anche ai figli e tutto il resto dell’insopportabile retorica forforosa pseudo femminista che fa la gioia dei talk show e dei giornali intelligenti.

Bene, al netto di quello che diciamo e scriviamo noi cervelloni dell’informazione mainstream tutta azzimata e perbenino, il piccolo problema è che alla stragrande maggioranza dei genitori, per ora siamo ben oltre il 90% dei casi, della famosa rivoluzione del doppio cognome non importa una beata mazza. Nessuno lo vuole, nessuno lo cerca, nessuno si strugge per la sua assenza. Ai padri e alle madri sono ben evidenti i cavilli burocratici legati a questo cambio di sistema, oltre al nodo da sciogliere del rischio della proliferazione dei cognomi, che nel giro di un paio di generazioni potrebbero diventare quattro, otto e così via. Per l’amor del cielo, è un bene che questa norma ci sia, e chiunque voglia la applichi ai propri eredi, ma è altrettanto chiaro che questo è l’ultimo, anzi l’ultimissimo problema che i neo genitori devono affrontare e fa ridere il pensierino molto à la page che sia questo atto ciò che serve per difendere le donne dai soprusi e per garantire loro una vera e piena parità nel mondo dei diritti e del lavoro. Così come fa sorridere il proliferare incontrollato di “ministra”, “assessora”, “direttora”, “amministratora delegata”, e relative precisazioni con il ditino alzato, che oltre a costituire uno sgorbio fonetico nulla cambiano dei fatti in quanto tali. Ma questa non è una grande novità.È noto che i media si innamorino di questioni che non hanno alcun legame con la realtà effettuale. Vivere su Plutone è un po’ il segreto del loro fascino irresistibile.

Altra svolta, nel suo piccolo, clamorosa è l’esito del processo hollywoodiano tra Amber Heard e Johnny Depp, conclusosi con la condanna per diffamazione - e relativo risarcimento danni milionario - della moglie del famoso attore, accusato per anni di terribili soprusi e di altrettanto terribili violenze fisiche ai suoi danni. Anche qui, in un mondo normale la vicenda sarebbe stata chiosata con un sostanziale chissenefrega, sono pur sempre manfrine tra personaggi dello star system planetario da confinare nelle riviste di settore, quelle che si sfogliano dal parrucchiere. Ma anche in questo caso la vicenda era stata ammantata in maniera inverosimile di significati culturali, trasformando Depp da un singolo soggetto accusato di singoli reati da un altro singolo soggetto in una vera e propria metafora del male, del male maschile - perché il maschio è il Male in quanto tale – e la Heard nell’innocente a prescindere, anzi, nell’innocenza della donna a prescindere - perché la donna è il Bene in quanto tale - senza alcuna aderenza ai fatti, alle prove, alle verifiche, alle testimonianze.

Una vera e propria guerra di religione nella quale il movimento #metoo con i suoi cartelli dogmatici, i suoi cortei di supporter scatenati e i suoi cori fuori dal tribunale ha investito tutta la propria atticciata potenza mediatica per arrivare a una sentenza esemplare, per prendersi lo scalpo del Nemico non per quello che ha fatto, ma per quello che è. Se il contesto non fosse ridicolo, ci sarebbe da vederci in controluce tutta la tragedia del Novecento, altro che nuovo millennio: l’eliminazione dell’altro per quello che rappresenta, anche se l’altro non è responsabile di nulla. Ora, il giudizio emesso dalla corte ha fatto piazza pulita di quella che è stata definita un’architettura di menzogne - ma ora vedremo cosa succederà in appello, naturalmente - e rischia di rappresentare una catastrofe assoluta per tutto il movimento femminista, che sconta il peccato mortale di aver in questi anni talmente schiacciato l’acceleratore sulla battaglia dei sessi da finire con il diventare poco credibile. E con il portare a fondo con sé le sacrosante battaglie per i diritti delle donne.

Ne abbiamo avuto un esempio recente anche in Italia - se ne è già scritto pure su queste colonne - con la vicenda delle presunte molestie di massa degli alpini al raduno di Rimini. Bene, è passato un mese, ma di tutto quel clamore è rimasta al momento solo una denuncia, la stessa che era stata depositata a maggio. Di tutto il resto non si sa nulla, al di là del solito chiacchiericcio sociologico che ama moltissimo le masse informi e senza volto così facili da manipolare e incasellare e che invece teme moltissimo l’individuo, l’unico baluardo contro la dittatura degli sciocchi.

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