La guerra al Covid
non si vince con le parole

Non è solo Nanni Moretti nella memorabile invettiva de “La Palombella Rossa” a ricordarci l’importanza delle parole. Eppure anche sull’emergenza Covid di parole se ne sprecano parecchie: addirittura per una polemica sul silenzio come quella tra Salvini e il governo a proposito dei verbali del Comitato tecnico scientifico, secretati all’inizio dello scoppio della pandemia. Forse è stata l’unica cosa taciuta, poi si sono aperte le cateratte delle parole, fiumi, spesso inutili e tanto dannose per l’effetto sulla cittadinanza inerme e spaventata. Per carità, lanciare l’allarme e indicare, anzi imporre adeguate norme di comportamento è doveroso e inevitabile. Per tutto il resto c’è… che se ne potrebbe fare a meno.

Prendiamo gli esperti da mesi onnipresenti su ogni tipo di media a dire cose diverse e contraddittorie tra loro. Fra l’altro azzeccare qualcosa su questo virus sembra quasi facile come centrare il “6” al Superenalotto. Azzardato vantarsi, falsamente, di essere stati “azzurri di sci” come Fantozzi in uno dei suoi film riusciti, altrimenti il rischio di finire, come il personaggio di Paolo Villaggio, a pelle di leone anche discettando di questo coronavirus è tutt’altro che improbabile. Prendiamo quelli che.. “il virus è mutato” e perciò è diventato più buono. Smentiti dai sanitari che continuano a combattere sul campo contro questo nemico invisibile e implacabile, sbugiardati da quei ricercatori che vivono in simbiosi con formule indecifrabili e microscopi elettronici, continuano imperterriti nel sostenere una tesi che, se mendace, assume contorni alquanto pericolosi. Perché finisce che qualcuno ci casca e cambia abitudini e cautele per imboccare quel sentiero stretto che sbuca nelle terapie intensive. Perciò attenti, accaniti cercatori del quarto d’ora di notorietà, che il gioco non vale davvero neppure un lumicino.

Poi ci sono le previsioni. Vi siete accorti che non ne hanno azzeccata una? I contagi che in Lombardia, ultima delle regioni italiane, si sarebbero azzerati il 28 giugno. Oppure, all’estremo opposto, con la fine del lockdown, il vaticinio dei 150mila ricoverati in terapia intensiva a metà del medesimo mese. Per fortuna anche qui è stata la classica sparata di quello che al bar si vanta di improbabili avventure erotiche quando la sera prima è rimasto in casa a guardare Super Quark in tv. Però qui non siamo al caffè dello sport. C’è di mezzo la nostra vita, la nostra salute, anche mentale, le nostre ansie. Proprio ieri abbiamo appreso che, con il trascorrere del tempo assieme alla pandemia, sono aumentati anche i suicidi. Non che sia dimostrato un collegamento diretto con le informazioni distorte sul morbo, però...

Infine, sono passati anche gli iscritti al partito: “Il virus soffre il caldo e se ne andrà con l’estate”. Infatti in agosto i contagi sono tornati a crescere.

Anche sui vaccini, ci sono iniezioni solo di parole. Arriva quello che annuncia l’arrivo imminente della “soluzione finale” contro questo virus. Subito ne salta su un altro a rintuzzare: “ma no, ci vorrà un anno, forse anche due”. E perché non tre? Per favore, diteci che il vaccino c’è solo quando, finalmente, potremmo offrigli la nostra vena e accoglierlo. Delle illusioni facciamo a meno.

Adesso l’ultima previsione, che ci porta in anticipo gli auguri per un sereno Natale, è uno studio della Scuola di medicina dell’università di Washington che prevede a dicembre picchi di 30mila morti di Covid al giorno in tutto il mondo. Per carità, giusto studiare gli eventuali sviluppi del contagio, realizzare modelli matematici che, peraltro, gli stessi esperti battezzano come non del tutto attendibili ma utili a tracciare la malattia. Ma è proprio il caso di farlo sapere a tutti? Di spargere ulteriori semi di panico nei nostri animi? Se queste cose sono utili per gli studi li facciano circolare solo tra gli addetti ai lavori. A noi continuate a dire quel che dobbiamo fare per evitare di incontrare il virus e siamo contenti così.

Per fortuna, oltre a chi parla, c’è anche chi fa. Perché è noto che chi sa fa e chi non sa insegna… È grazie a loro, ai medici, agli infermieri a coloro che hanno individuato cure efficaci, se il Covid forse non fa meno paura, ma certo meno male. Perché lui, poi, non avendo il dono della parola, purtroppo, si limita ad agire.

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