La nostra privacy
ha un prezzo: 150 euro

La privacy è una questione importante. La privacy è una questione dirimente. La privacy è un valore assoluto al quale un popolo moderno, responsabile, autonomo e indipendente non è disposto a rinunciare per nessuna cosa al mondo: è un fatto di dignità, oltre che di libertà.

È proprio per questo che nei mesi scorsi abbiamo appreso con grande sorpresa, ma al contempo con grande ammirazione, per quanto la questione sia particolarmente delicata, la levata di scudi contro l’App “Immuni”, grazie alla quale il governo ha tentato - inutilmente - di istituire un tracciamento scientifico e tempestivo dei contagi al fine di individuare i soggetti a rischio, isolarli e bloccare così sul nascere la diffusione del Covid. Da un punto di vista sanitario, niente da dire, un’idea ottima e lungimirante che, se i contagi fossero rimasti bassi, sarebbe stata effettivamente in grado di stoppare la seconda ondata nella quale ci troviamo invece impelagati. Ma questo dispositivo pone gravi problemi di privacy, appunto, perché prevede la profilazione del soggetto consenziente, che finisce così nella rete di controllo del governo. Con tutto quel che ne consegue.

Da qui, larga parte dei nostri politici, che della loro cultura liberale hanno sempre fatto vanto, visto che si sono formati sui sacri testi del liberalismo e che conoscono Tocqueville, Voltaire e Montesquieu meglio di un docente universitario, ha contestato ferocemente “Immuni”, subdolo strumento utilizzato da lorsignori per infilarsi nelle vite degli altri, scrutarne i segreti, aprirne i cassetti più riposti, violarne l’intangibile riservatezza e quindi, anche se c’è di mezzo la vita di migliaia di persone, giammai, la libertà conta più della salute, meglio morire liberi che vivere servi, e tanto hanno fatto nei mesi scorsi e tanto declamato e proclamato e catoneggiato e predicato e trombonato da convincere innumerevoli schiere di italiani liberi, liberali, liberisti e libertari che mai e poi mai si sarebbero piegati al sistema e mai e poi mai sarebbero diventati ingranaggi del Moloch occhiuto, del grande fratello planetario che attraverso il cavallo di Troia del Covid - che forse è una pandemia, ma soprattutto un formidabile esperimento di controllo sociale - vuole ridurci a schiavi. Viva l’Italia! Viva il Papa! Viva il Re!

Scelta terribile, ma nobilissima, vero? Peccato che nei giorni scorsi - clamoroso ribaltamento, clamorosa sinchisi - appena il governo totalitario e spionistico di cui sopra ha lanciato l’App “Io”, grazie alla quale si possono recuperare ben 150 euro l’anno se si fanno gli acquisti usando la carta di credito, si è assistito tra gli stessi italiani così gelosi della loro privacy all’identica scena a cui si assiste tra i giornalisti quando arriva il momento del buffet alla fine di un convegno: scatti da centometristi, gomitate, sgambetti, dita negli occhi, una corsa forsennata per buttarsi per primi sul vassoio delle pizzette e del risotto al radicchio. Tutti quanti, milioni di milioni, a scaricare l’App dei 150 euro, improvvisamente dimentichi - chissà come mai? - che pure quel dispositivo traccia le persone e le profila e le identifica e le scruta e le indaga e arriva a conoscerne i segreti più intimi, il conto in banca, le entrate e le uscite, senza considerare in chissà quali pertugi si infileranno le multinazionali per rubarci i soldi, grufolare tra le nostre esistenze e renderci ancora più schiavi di quello che già siamo.

Eppure lì, tanti dei nostri statisti che passano le giornate a leggere Hayek, Adam Smith e Benedetto Croce, si sono curiosamente distratti, e l’imperativo della libertà a ogni prezzo e si è rapidamente trasformato nell’imperativo dell’aperitivo con lo sconto. E bene hanno fatto, visto che l’italiano medio - che è uomo di saldi principi e che non si venderebbe per nulla al mondo - li avrebbe mandati fragorosamente a quel paese, anche perché, pur di recuperare i fatidici 150 euro, sarebbe disposto a tutto, ma a tutto davvero: l’ammissione che ogni sera picchia i bambini con la cinghia, l’indirizzo della sua amante minorenne, l’abuso edilizio dello chalet in montagna, il lancio del sacchetto della spazzatura nel cortile dei vicini, il reiterato parcheggio in tripla fila, la raccomandazione di suo cugino per quel posto da navigator, l’abbandono del cane in autostrada.

E se ne sono stati tutti zitti, i nostri statisti, anche perché hanno ben capito che i loro elettori manco hanno bisogno dei 150 euro per vendersi al padrone, perché già lo fanno, e pure gratis, da chissà quanto tempo ogni volta che postano un gattino amoroso o una torta di compleanno o una scampagnata in bicicletta e tutte le altre banalità che immaginano interessino tanto agli altri e che invece non interessano a nessuno. Prendete un profilo social di uno qualsiasi di noi, ma soprattutto di uno qualsiasi dei nostri aurei governanti, e fatevi due risate: lo statista che mangia la pizza, lo statista che beve il lambrusco che fa sangue, lo statista che augura buongiorno a tutti, lo statista che va al parco giochi con la figlioletta, lo statista che corre sull’alzaia e manco si accorge che è uscito dal Comune, lo statista che ascolta la gente in piazza che la gente è stufa, lo statista che inforna il ciambellone, lo statista a spasso - senza mascherina - con la fidanzata, lo statista che guarda la partita allo stadio, ma anche a casa del suocero, ma anche al bar dello sport perché lui è proprio come uno di noi, lo statista che si fa il selfie con un canguro albino allo zoo.Insomma, il più clamoroso esempio di autoprofilazione gratuita e quotidiana grazie al quale noi tutti rinunciamo alla privacy giusto per illuderci che non siamo dei falliti, perché la vanità e la frustrazione, il micragnoso bovarismo piccolo borghese, sono più forti di tutto, anche dei soldi. E se è così - ed è così - allora facciamocela almeno pagare la nostra frustrazione. Se quello là ha tradito per trenta denari, noi possiamo ben farlo per 150 euro...

© RIPRODUZIONE RISERVATA