La questione catalana al centro dell’Europa

La decisione del Tribunale dell’Unione Europea, che nei giorni scorsi ha rigettato il ricorso dei tre europarlamentari catalani in esilio (Carles Puigdemont, Toni Comin e Clara Ponsatì) contro la decisione del parlamento europeo di togliere loro l’immunità parlamentare, è destinata a riaprire vecchie ferite, ma potrebbe anche riorientare l’intera politica a Madrid e a Bruxelles.

Dopo le violenze dell’ottobre del 2017 – quando la Guardia Civil aveva impedito con la violenza lo svolgimento di un referendum organizzato dalle istituzioni catalane – la situazione era progressivamente rientrata nella normalità. La frattura politica tra le forze dell’indipendentismo catalano aveva allontanato le prospettive secessioniste, dato che una parte era rimasta ferma sulle proprie posizioni, mentre quella più schierata a sinistra aveva imboccato una strada riformista (d’intesa con i socialisti).

Per giunta anche a Barcellona le emergenze economiche e sanitarie alla fine avevano finito per prevalere sulla speranza di un’indipendenza da Madrid.

Ora, però, la sentenza della corte ha rimesso al centro della scena lo scandalo di tre europarlamentari che sono costretti a vivere in esilio e a cui è impedito di battersi per i loro ideali. Solo qualche anno fa non sarebbe parso immaginabile che i più elementari diritti fossero violati proprio nel cuore dell’Europa e con la complicità delle istituzioni comunitarie.

L’ironia è che da parte catalana s’è sempre confidato nell’Europa e nelle sue istituzioni giudiziarie (come ha ribadito la settimana scorsa anche uno dei tre esiliati, Toni Comin, in un’interessante conversazione tenuta assieme ad alcuni esponenti di Nuova Costituente). Adesso si è costretti a fare i conti con una realtà più inquietante, che attesta come Bruxelles sia quasi sempre la semplice proiezione del potere controllato dagli Stati nazionali.

Tutto ciò avrà enormi ripercussioni sul dibattito politico interno alla Spagna, dove tra due settimane si procederà al rinnovo del parlamento. Il Paese è spaccato: la destra del partito popolare è data vincente dai sondaggi, ma al tempo stesso difficilmente potrà ottenere – nemmeno con eventuali alleanze – i numeri sufficienti a governare.

Stesso discorso per un’eventuale coalizione di sinistra, che non riuscirà ad avere la maggioranza. Questa impasse è larga misura conseguente al peso delle forze autonomiste e indipendentiste, che si sottraggono a ogni coalizione di destra oppure di sinistra.

All’interno dell’arcipelago delle formazioni localiste il peso maggiore è proprio dei catalani. In particolare, secondo le proiezioni la formazione vicina a Carles Puigdemont (Junts per Catalunya) è quella destinata ad avere più eletti e in questo quadro complicato potrebbe avere i voti decisivi. Sembra paradossale, ma proprio colui che le istituzioni spagnole ed europee vorrebbero consegnare alle galere – l’ex governatore della Generalitat, Carles Puigdemont – sembra che finirà per avere un ruolo decisivo nel definire il governo che reggerà la Spagna nei prossimi anni. Forse potrebbe davvero essere l’inizio di una Spagna che si lascia definitivamente alle spalle il franchismo.

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