Nostalgia canaglia
della vecchia politica

Nostalgia, nostalgia (sia pur) canaglia. La Jena, al secolo Riccardo Barenghi, scriveva qualche giorno fa nella sua caustica nota umoristica su “La Stampa” che l’uscita della fiction su Craxi, visto il quadro attuale, susciterà moti di rimpianto. Una sottolineatura che si porta dietro qualche riflessione a proposito del piano inclinato che la politica, assieme a tanti aspetti della civiltà, ha imboccato anche dal giorno in cui il leader del Psi più volte presidente del Consiglio è stato consegnato alla storia come il “cinghialone” ingrassato con la corruzione e destinato a essere abbattuto dalla magistratura e non come il “Mitterand” italiano illuminato statista riformista. Molto di quello che è accaduto nei lustri successivi e ci ha portato fino a qui, nella politica e nel paese, deriva da quel bivio.

Un crocicchio affollato da politici di vaglia annientati, non solo Craxi e non soltanto i socialisti, destinati a un tramonto segnato da infamia, linciaggi pubblici e lanci di monetine. Perché va detto che Bettino non era solo ruberie e arroganza. Di certo, in un determinato momento, ha commesso errori atroci che lo hanno perduto, ha scorporato in via definitiva la morale dalla politica, ha derogato a una visione che non riteneva più praticabile almeno nell’immediato. Craxi non è stato solo quello che ci trasmette la vulgata dei sempre meno che ne conservano la memoria. Così come la Dc non era quell’accozzaglia di strortignaccoli umonculi in grisaglia o della gobba di Andreotti tetro scrigno dei misteri incoffessabili dell’ignobile storia parallela dell’Italia. E Tangentopoli non è stata solo una catarsi purificatrice, un angelo che porta la luce sulle tenebre del malcostume. Come le tante nefandezze della storia di questo paese, la saga di Mani Pulite è un prisma con molte facce, alcune mai illuminate. Ciò che è sicuro è in quel fatale bivio, assieme all’acqua sporca è stato gettato uvia n bambino chiamato “politica”. Un virgulto che già da tempo aveva perduto l’innocenza ma che manteneva la capacità di crescere, apprendere ed elaborare soluzioni ai problemi sociali. Da quel giorno il bambino della politica è diventato nell’immaginario collettivo un vecchio vizioso e malvissuto da allontanare dalla civiltà e sospingere su uno spinoso viale del tramonto. Tutto è cambiato senza che nulla cambi: quel che dice in realtà il pluricitato felino di Tomasi di Lampedusa è che a non mutare è sempre il peggio. Mettetela come vi pare ma adesso, dopo aver visto transitare anche la Seconda senza lasciare traccia, se non la plutocratica interpretazione berlusconiana che ha creato epigoni fuori dalle nostre frontiere, ci riprenderemmo volentieri indietro la Prima con tutte le schifezze allegate, con i suoi protagonisti, con i fantasmi alla Cirino Pomicinio (l’analfabeta di ritorno tratteggiato ai tempi da Cossiga) che ancora si perita di giganteggiare nei talk show e con i rimpianti per Moro (il meglio di quella meglio gioventù del dopoguerra non a caso falciato dal folle ma mirato giustizialismo terrorista), con Berlinguer, Spadolini, oltre che il succitato Bettino e persino con il goffo socialdemocratico Pietro Longo, l’avanzo di balera Gianni De Michelis, Claudio Martelli e Giovanni Goria, il Pci non si pretende di Togliatti ma persino di quel grande intellettuale non fortunato in politica che fu Alessandro Natta.

Perché allora comunque c’era la politica, che disprezzavamo e mai avremmo pensato di rimpiangere oggi, dove non a caso, agli Esteri in cui stazionò a lungo Andreotti ritroviamo Giggino di Maio e a palazzo Chigi al posto di Craxi, quel Conte sempreinpiedi che prima stava lì a non metterci la faccia che ci pensavano i vice e ora invece la deve offrire compiacente per fare scudo alle debolezze dei pentastellati in sfarinamento come il grano consegnato al mulino, sardine asciugate dall’acqua della protesta e soffocate dai morbidi cuscini delle poltrone parlamentari e ministeriali e al moto immobile del Pd di Zingaretti che, per dirla con Claudio Lolli, ne avete mai visto uno felice che non sia Montalbano? Senza politica comanda la pancia, il post sui social con il presepe sotto il braccio (un Dc neppure sotto tortura si farebbe fatto immortalare mentre cingeva la riproduzione della grotta di Beltemme), l’insulto gratuito, sterile ma tanto condiviso che è ciò che conta.

Dice un tale: ci sono state le due “one” “globalizzazione” e “digitalizzazione” che hanno cambiato tutto. Capita, con “one” si conclude anche la parola “rivoluzione” che, però, sia stata civile o industriale ha sempre visto la politica capace di domarla, incanalarla, subirla se il caso e comunque sempre in grado di produrre anticorpi e risorse per fronteggiare i nuovi bisogni, tentare e più di una volta riuscire, a risolvere i bisogni.

Adesso invece c’è il vuoto della proposta, la visione è utopia, la parola d’ordine è “traccheggiare”, durare il più possibile senza che qualcuno faccia l’onda.

Certo, non solo da noi è così se sono riusciti a emergere in paesi di grande tradizione democratica e politica come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti due leader pre civiltà del pettine: Boris Johnson e Donald Trump. Ma intanto, mentre noi ci baloccavamo con i Gasparri e gli Alfano, la Germania ha sfoggiato la Merkel. Sarà che quella dei tedeschi è sempre un’altra camminata, anche senza gli stivali della Wehrmacht.

Insomma c’è bisogno di politica. Se qualcuno, più lungimirante degli altri ne ha conservata un po’ dai tempi che furono è il momento di tirarla fuori.

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