La pandemia economica, che rischia di produrre un contagio addirittura superiore a quella sanitaria, ha improvvisamente ricolorato d’attualità categorie rintanate nella mansarda della storia. Tra esse, spicca quella della lotta di classe. Solo che, particolare decisivo, non si tratta della lotta di classe di tradizione marxista. Non esiste oggi alcun proletariato in lotta con alcun dominio borghese.
Anzitutto perché tale dominio non esiste più da tempo, è stato sostituito da quello dei tecnocrati intenti a trasformare l’economia di mercato in capitalismo di Stato, o brutalmente come accade in Cina o surrettiziamente come in molte società europee (ma sarebbe meglio dire continentali, il cosmo anglosassone è da sempre altra cosa). Poi, molto più radicalmente, perché la faglia di rottura che il flagello del Covid ha portato alla (ri)emersione è tutt’altra. Quella tra produttori e garantiti. O, ad essere letterali, tra produttori e “parassiti”. Il termine va depurato da qualunque crudezza moralistica, va inteso nel senso puramente tecnico, il senso in cui lo utilizzavano un padre del liberalismo come Friedrich von Hayek e uno scienziato della politica come il comasco Gianfranco Miglio: coloro che vivono di risorse altrui. Perché è questo, oggi, nell’era delle conseguenze economiche ed esistenziali del coronavirus, il confine tra i sommersi (o coloro che combattono per non diventare tali) e i salvati. Chi è condannato a produrre da sé il proprio sostentamento, e chi lo ha garantito.
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