Quando il potere riscrive la storia

Si fa presto a scollinare l’estate e dopo l’estate ci aspetta l’autunno e, subito dietro, ecco l’inverno. E’ già tempo, dunque, di pensare agli spifferi e a come evitarli. Nella sua fredda Russia, Vladimir Putin è il primo a porsi il problema.

Ovviamente, gli spifferi che preoccupano Putin non sono quelli dovuti al vento e alle basse temperature. Piuttosto, egli teme quei fastidiosi refoli di narrazione che ancora arrivano dall’Occidente e che rischiano di infilarsi tra le pieghe del patriottismo sotto il quale sta cercando di mettere al riparo l’intero Paese. Dunque, da settembre entrano in vigore i doppi vetri ideologici: quelli che imporrà agli studenti un nuovo libro di testo nel quale gli ultimi cinquant’anni di storia russa vengono riscritti in modo da aderire perfettamente alla retorica del leader, alla versione dei fatti che vede l’Occidente aggressivo e predatore e la “Matuška Rossija” indomita vittima.

Uno scarto del sistema educativo denunciato da Paolo Mieli nel Corriere della Sera. All’editorialista preoccupa soprattutto l’acquiescenza occidentale di fronte a questi evidenti segnali di autoritarismo; denuncia dunque gli storici occidentali che “guardano con simpatia” a Putin e che secondo lui si sarebbero prontamente adeguati alla rivisitazione storica imposta dal suo governo. Ma l’indifferenza si estende oltre gli addetti ai lavori: in generale, sostiene Mieli, la nostra opinione pubblica dovrebbe preoccuparsi di più, visto che la prospettiva storica modellata da Putin si appresta a diventare il “cardine formativo di una generazione di giovani russi”.

In prospettiva la Russia è destinata dunque a diventare un Paese ancor più chiuso e modellato su principi nazionalistici di quanto sia ora. E, si sa, il nazionalismo mio si alimenta soprattutto di colpe gettate sul tuo.

La riscrittura della Storia non è certo una tecnica inventata da Putin. La Storia stessa è un elemento incerto e paludoso. Più la prospettiva si fa ampia, più i dettagli si perdono e addirittura scompaiono; inoltre, lo storico raramente rinuncia a imporre ai fatti che racconta un ordine interno che soddisfi la sua personale visione del mondo, sia essa ideologica, politica o anche semplicemente emotiva. Figuriamoci se i governi, primi fra tutti quelli autoritari, potevano rinunciare a ficcare le mani in un elemento così facilmente modellabile.

La Storia sistemata a favore di leader presenta esempi clamorosi di interpretazioni tendenziose, omissioni imbarazzanti e perfino fantasiosissime invenzioni. Fino al recente passato, l’onestà del tempo – per tradizione considerato “galantuomo” – e l’ostinata correttezza di molti ricercatori e di alcune istituzioni, hanno permesso di denunciare tale paccottiglia e di riprendere lo studio della cronologia umana su basi dedotte sempre attraverso approssimazioni, ma raccolte almeno con onestà e applicazione. Oggi, tuttavia, così come il giornalismo risente dal torbido attacco dell’informazione “fake”, della visione sociale “muro contro muro” e della semplificazione a scopo di manipolazione, la Storia si presta a gigantesche operazioni di contraffazione e mistificazione. Gli studenti di Hong Kong imparano ora ad “amare” la Cina e a diffidare delle “infiltrazioni” straniere: il passato coloniale della città diventa facile bersaglio della propaganda, che però convenientemente dimentica le garanzie di tutela individuale riconosciute a quei tempi sotto la “common law” e oggi convenientemente rimosse. La Russia oggi si allinea a questo indottrinamento di comodo, pericoloso – come dice Mieli – ma anche sostanzialmente inarrestabile. Perché fatto di tanti piccoli bocconcini avvelenati serviti in un contesto, non soltanto orientale, che ha infine sgominato la cultura, unico reagente capace di denunciare la tossicità del menù dispotico.

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