Quelli che il calcio diventa un ricordo

Quelli che seguivano i giocatori a piedi dopo l’allenamento. Quelli che giocavano con la maglia di lana con cucito a mano lo stemma del club, a volte lo scudetto o la coccarda della Coppa Italia che faceva tanto Risorgimento. Quelli della Nazionale con la tutona azzurra e la scritta ITALIA a caratteri bastone. Quelli che su “Epoca” si facevano fotografare in casa con la mamma, perché con la fidanzata sarebbero finiti in panchina. Quelli come Rivera che rilasciavano interviste sul tram, in una Milano nebbiosa e novembrina. Quelli che allo stadio la radiolina li lasciava a piedi perché si erano dimenticati di cambiare le pile. Il football di un tempo, dei “bauscia” e dei “casciavid”, ormai è soltanto su Facebook, nelle pagine di “Amarcord – Il calcio di una volta”, dove migliaia di “mi piace” accompagnano i volti di Cudicini “ragno nero” in allenamento all’Arena di Milano, Pelè e Garrincha, di Bearzot, che se andò, ultimo aedo di “Eupalla” il 21 dicembre del 2010, o del “Nobile calcio”, dove Scirea sorride dietro a un tavolino ricoperto di coppe, con nelle mani sei scudetti vinti come capitano della Juve, e il “paron” Rocco discute con un Gianni Brera senza pipa e barba.

I calciatori avevano facce da calciatori, non erano totem tatuati ma ragazzi che arrivavano da lontano, figli della campagna o di emigrati, parenti nell’aspetto di molti campioni del pedale, magri e nervosi, unica concessione qualche raro baffo, i procuratori di solito erano i padri o qualche fratello un po’ più acculturato, il mister aveva sempre ragione e di riserva in panchina c’era soltanto il numero 12, alle volte si infortunasse il portiere.

Non è preistoria e non sono nemmeno i tempi di Pozzo e dei trionfi della Nazionale, ma il pallone (bianco e nero) di quando eravamo ragazzi, maniaci delle figurine Panini o Mira che ritraevano ventenni simili a quarantenni, qualcuno già “in piazza”, nemmeno un sorriso, palla lunga e pedalare. Le squadre erano fatte quasi sempre da enfant du pays, ragazzi che incominciavano a calciare per strada e poi scalavano le categorie, fieri di indossare la maglia della propria città, e ogni formazione aveva la sua “bandiera”. La domenica a fine pomeriggio -non c’erano anticipi e posticipi- si attendeva con ansia la “roulette” della partita in televisione, il primo o il secondo tempo e si sperava sempre ci fosse la squadra del cuore, ma la scelta della Rai a volte era incomprensibile, magari c’era stato un 4 a 0 e ci si limitava a sbadigliare davanti a un risultato con gli occhiali da campi di neo promosse.

Da tempo il calcio non è più eroico, ma fino a qualche anno fa rimaneva quasi umano, qualche bandiera come Totti, Maldini o Del Piero resisteva, le partite si vedevano ancora in televisione comprese nel canone o gratis sulle reti private, nelle formazioni i nomi italiani prevalevano ancora.

Ora il colpo di grazia al calcio romantico è arrivato, il pallone si globalizza come il resto delle cose, la A22 Sports Management potrà formare la Super League Europea, auspicata da Andrea Agnelli e Florentino Perez in tempi già sospetti, una sorta di circo equestre per i club più ricchi che manderebbe in pensione campionati e Champions League, ma che ognuno potrà godersi gratis in salotto grazie a un’apposita piattaforma. Le 16 squadre della prima delle tre categorie previste si contenderebbero la vittoria e mega incassi, dovuti ai milioni di persone davanti al video che garantirebbero inserzioni pubblicitarie da favola. Le Leghe non riuscirebbero più a vendere i diritti televisivi dei tornei nazionali, che perderebbero di interesse e affosserebbero i club meno potenti. Uno scenario che potrebbe aprire le porte anche a squadre non europee, con il sogno di creare una competizione che coinvolga i club sudamericani, arabi e asiatici, visto che ormai il centro del potere economico sportivo si è trasferito in Arabia Saudita, come lo scorso mercato ha dimostrato.

Avremo un calcio da Playstation, finto e soltanto commerciale, giocato da mercenari con maglie di cui non conoscono il passato, uno spettacolo pieno di lustrini ma povero di passioni e ambizioni, di lotte per gettare il cuore oltre l’ostacolo.

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