Sacchetti e Longo accomunati dall’assurdo

Dice qualcuno: “Han fatto una mossa alla Dmitry Gerasimenko. Proprietario straniero, altra cultura sportiva, voglia di divertirsi e divertire, tanta fretta”. Dimenticandosi, però, di quel che è successo solo un mese e mezzo prima. A Cantù. Proprietà italianissima, anzi lombardissima, meglio ancora quasi cittadina. Moreno Longo come Romeo Sacchetti. Il primo esonerato, a sorpresa, da potenzialmente terzo in campionato e con una serie positiva di sette punti nelle ultime tre partite. Il secondo “sollevato dall’incarico” (ah, che mostruosa la lingua dello sport italiano, provate a sollevarlo voi, il Meo…) a cinque giorni dal via della serie A2.

Non c’è più tempo neanche di avere tempo. Lo sport diventa business e si trita tutto, con un cinismo che lascia basiti non solo i protagonisti, ma persino i fruitori, che sono poi – checché se ne dica – coloro che andrebbero curati, coltivati, amati e rispettati. Como 1907 e Pallacanestro Cantù, una volta tanto, insieme nel tritacarne dello showbiz, nemmeno fossero realtà distaccate da un territorio che invece continua a considerarli come roba propria. E non lontana anni luce, specie se per modi di fare o metodi di comportamento.

Premesso che le attuali proprietà hanno il diritto di far quel che vogliono delle proprie scelte (anche perché ne rispondono in termini di risultati e consenso), quel che è accaduto con i due allontanamenti improvvisi e inattesi apre, come è giusto che sia, una serie di dibattiti. Che coinvolgono, manco a dirlo, più componenti, da quella tecnica a quella umana. Non scordandosi delle modalità.

Pensare solo di poter chiedere a Moreno Longo e Romeo Sacchetti, allenatori d’esperienza e navigati (il secondo, poi, addirittura un totem, e nemmeno esclusivamente del suo sport), di non fare il Moreno Longo e il Romeo Sacchetti è da gente sconsiderata o abituata al pericolo. Proviamo a spiegarci. In entrambi i casi c’erano le conclusioni per arrivare a una chiusura del rapporto già nella passata stagione: il tecnico del Como che salva la squadra, ma che mai e mai diverte, badando forse più a quanto gli era stato chiesto che non al bel calcio, il coach di Cantù, al contrario e peggio ancora, che ferma la corsa verso la serie A addirittura in semifinale playoff contro un’outsider come Pistoia.

Perché dunque non sostituire i due allenatori, magari pure accontentando le piazze? Invece no. Uno e l’altro club - per via di contratti in essere, ma speriamo vivamente non solo – decidono di dare continuità al progetto, dimostrando di non avere fretta e di dare il giusto peso al tempo e al lavoro. Si riparte, insomma, da Longo e Sacchetti. Pur non a furor di popolo (l’unanimità che aveva permesso di sceglierli, ai tempi, si era già sgretolata da tempo), ma con fiducia.

Con alle spalle, sia uno sia l’altro, due uomini di campo, Charlie Ludi e Sandro Santoro. Essendo tali, quindi uomini di campo, i più vicini a comprenderne le esigenze tecniche, rispetto alle richieste, spesso non solo tecniche, delle proprietà. Suggestivo, dall’alto, pensare di poter chiedere a direttore generale e general manager di intervenire sui tecnici sperando snaturassero le rispettive prerogative. E, infatti, più che a consigli non richiesti e a eventuali strade nuove da provare a battere non si è mai arrivati. E per fortuna dello sport, forse un po’ meno del business, dello showbiz e dell’intrattenimento.

Se a Longo si rimproverava un chiaro atteggiamento sparagnino, al contrario di una società che fa dell’intrattenimento uno dei suoi asset strategici, a Sacchetti addirittura si chiedeva di essere un po’ meno farfallino e un po’ più concreto. Non fiori, insomma, ma opere di bene. A chi? A Meo Sacchetti? Quello che aveva vinto uno storico triplete a Sassari e (ri)portato l’Italia alle Olimpiadi con un gioco chiaro e diverso da tutti gli altri? Impossibile. Come impossibile suggerire al tecnico del Como un “avanti tutta senza un minimo di equilibrio tattico”.

I due progetti sono deragliati (quasi) sul nascere, aprendo dibattiti a cui non si era abituati da queste parti. Non esiste, ovviamente, controprova di quel che sarebbe potuto succedere o accadrà. Non resta che aspettare, sarà il tempo a dare le risposte. Nell’attesa, però, ci teniamo stretti Lucio Dalla e il suo “l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. Non si sa mai.

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