
I medici di base dovranno trascorrere almeno 2.100 ore alla settimana nelle case di comunità
La riforma Vicino un accordo per gestire le strutture. Regione e governo chiedono 18 ore settimanali, i dottori vogliono farne sei e le altre nei loro ambulatori
I medici nelle case di comunità? Questa forse è la volta buona.
Ormai nel Comasco tutte e undici le case di comunità sono state costruite, salvo alcuni casi in provincia in cui i lavori sono ancora in corso. Questi centri, rinati grazie ai fondi del Pnrr da precedenti ambulatori o ospedali, mancano però di medici e servizi, così scrivono le Regioni e il governo volendo nuovamente cercare di riformare la medicina di base.
Pronta da tre anni
Da tre anni la casa di comunità di via Napoleona, che pure eroga numerose prestazioni, non ha mai accolto i medici di famiglia. I camici bianchi non vogliono concentrare le energie, ma soprattutto non vogliono diventare dipendenti del sistema sanitario, come gli ospedalieri. Diverse proposte sono fin qui naufragate.
L’ultima, più conciliante, lascia aperto un doppio binario. I medici, in particolare quelli già attivi, potranno restare libero professionisti a patto di «prevedere fin da subito obblighi normativi cogenti per i medici convenzionati, relativi agli orari e alle prestazioni da garantire, in modo da assicurare l’avvio delle strutture e dell’organizzazione prevista dal Pnrr».
Questo significa che i 295 medici di famiglia comaschi (32 corsisti e 14 provvisori) e i 57 pediatri potranno scegliere se rimanere liberi professionisti o diventare dipendenti, ma comunque dovranno fare un monteore dentro alle case di comunità. Pari a 18 ore settimanali, è la richiesta, pari a sei ore settimanali secondo i medici, almeno per chi ha già tanti pazienti da assistere.
Anche fosse la quota oraria minima, si tratterebbe di almeno 2.100 ore alla settimana nelle case di comunità. Strutture da aprire sette giorni su sette e immaginate per funzionare anche la notte. Tra le novità introdotte nella bozza di riforma anche la formazione per la medicina di famiglia che diventerebbe universitaria e non più regionale.
«Il problema non è la dipendenza, ma la carenza di medici – commenta Gianluigi Spata, presidente dell’Ordine dei medici di Como – abbiamo già molti pazienti da assistere. E’ chiaro che le case di comunità oggi sono in parte delle scatole vuote e vanno riempite. Dobbiamo pianificare nuove attività e concordare una presenza. Ma potendo restare in regime di libera professione, continuando a visitare anche dentro ai nostri studi».
La Fimmg, la federazione italiana medici di medicina generale, per bocca del segretario provinciale Massimo Monti, teme che governo e Regioni vogliano «distruggere la convenzione e aprire all’accreditamento di grandi gruppi di medici, anche creati da società private, per dare in gestione le case di comunità». Case che con il solo personale ospedaliero faticano ad andare avanti.
I servizi
Sono diversi i servizi offerti dalle case di comunità, dove però già prima, per esempio a Como, esistevano punti prelievi, visite specialistiche, servizi di accoglienza o di vaccinazione.
Le prime case di comunità ad aprire nel comasco sono state quella di Como, Campione d’Italia, Valle d’Intelvi, Olgiate Comasco, Cantù, Menaggio, quindi Mariano Comense con una recente ristrutturazione, Ponte Lambro, da ultimare i lavori a Lomazzo, ci sono poi Bellagio e Porlezza da assegnare a realtà esterne.
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