
«Il sequestro Mazzotti? Non c’entro, ero altrove»
Eupilio In aula per il processo le dichiarazioni spontanee rilasciate da Giuseppe Calabrò. «Nel 1975 vivevo tra la Calabria e Torino»
Eupilio
«Non c’entro niente con il sequestro e la morte di Cristina Mazzotti. Nel 1975 vivevo tra la Calabria e Torino, non frequentavo Milano e la Lombardia. E non conoscevo nemmeno Demetrio Latella, Antonio Talia e Giuseppe Morabito».
Il processo in corso di fronte alla Corte d’Assise di Como e con al centro dell’attenzione il sequestro a scopo di estorsione concluso con la morte della diciottenne prelevata nell’estate del 1975 mentre con amici stava facendo rientro nella casa di famiglia a Eupilio, ha vissuto ieri uno degli ultimi passaggi prima di avviarsi alla conclusione, con sentenza attesa forze già per il mese di luglio. A parlare ai giudici togati e popolari, è stato uno dei tre imputati rimasti dopo la morte di Morabito, ovvero Giuseppe Calabrò, 75 anni originario di San Luca in Calabria.
L’intervento
L’uomo era atteso da un esame, con domande di pm, parti civili e difese, ma ha preferito non farsi interrogare rilasciando però delle dichiarazioni spontanee senza tuttavia rispondere ad alcuna domanda. Secondo l’accusa, Calabrò salì a bordo della Mini con cui vennero poi prelevati i ragazzi da Eupilio (Cristina con i due amici con cui stava rincasando) e, dal sedile del passeggero, avrebbe tenuto sotto la minaccia di una pistola le vittime.
«Non ci sono le mie impronte»
«Sono mancino, come averi potuto tenerli sotto tiro da quella posizione? – ha detto ai giudici – Poi nelle deposizioni di quegli anni, il sequestratore armato di pistola fu descritto “con un naso grosso, carnoso, lungo e ricurvo”. Bene, sono qui davanti a voi, guardatemi e guardate il mio naso. Anche l’altezza non corrisponde».
L’imputato ha poi toccato un altro punto: «Ci è stato detto che i rapitori agirono senza guanti e che quello sul sedile davanti era il più agitato… come mai non ci sono mie impronte sulla Mini? Però sappiamo esserci una impronta non attribuita...». Calabrò aveva aperto raccontando di non conoscere gli altri imputati, di essere arrivato in Lombardia solo nel 1977 «quando fui arrestato», giunto a Milano «da meno di un mese». Ma nel 1975, «ero ancora in Calabria e non ero mai stato il Lombardia».
«Negli anni del sequestro, facevo piccoli reati, soldi falsi, cose del genere, come avrei potuto improvvisamente diventare un rapitore? Non c’entro niente con il sequestro e con la morte di Cristina Mazzotti».
L’udienza di ieri si era aperta con la testimonianza di un collaboratore di giustizia attivo in quegli anni a Milano che ha aiutato a ricostruire il clima che si viveva in Lombardia e il ruolo di uno degli imputati, Demetrio Latella, nel gruppo vicino a Epaminonda detto il “Tebano”. Le difese hanno poi preannunciato di rinunciare ai loro testi anticipando tuttavia il deposito di una corposa produzione documentale che verrà discussa nella prossima udienza in maggio.
In aula, nell’udienza di ieri, c’erano anche studenti dell’istituto “Teresa Ciceri” di Como che hanno seguito grazie all’associazione “Libera – Contro le Mafie” un percorso di formazione sulle mafie nella nostra provincia e sulla storia di Cristina Mazzotti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA