A Draghi tocca
studiare da politico

“Non gioco più me ne vado”. Di certo Mina e Mario Draghi hanno in comune un talento notevole nei propri ambiti. Ma il punto adesso è: qual è adesso l’ambito di Draghi? Al presidente del Consiglio dopo essersi visto bocciare per quattro volte dal Parlamento un provvedimento licenziato senza problemi dal governo, è montato il sangue agli occhi. Allora è salito al Quirinale per sfogarsi con Sergio Mattarella, che in fondo l’ha messo lui dove sta, e poi ha chiamato i rappresentanti dei partiti per dire che sarà meglio mettersi al passo, altrimenti va tutto a carte quarantotto e il Paese torna alle urne.

Magari un atteggiamento non proprio rispettosissimo del Parlamento, istituzione che, già prima che l’emergenza Covid entrasse nel vivo, è stata via via svuotata di alcune delle sue funzioni, la cui principale dovrebbe essere quella di legiferare. Le Camere, infatti, Costituzione alla mano, hanno anche il compito di esercitare congiuntamente la funzione legislativa. Invece si sono ridotte, in buona parte, a convertire decreti approvati dall’esecutivo. Certo, assemblee come quelle attuali dove non mancano gli scappati di casa, prestano il fianco a questa situazione. Il problema però è che, alla lunga, si finisce per svuotare la democrazia. Sono lì a dimostrarlo alcuni provvedimenti per l’emergenza Covid, magari sacrosanti, ma piuttosto “border line” in questo senso. Draghi ha detto che il suo è “il governo del fare” e non deve perdersi dietro al chiacchiericcio dei politicanti già proiettati nella campagna elettorale in vista del voto nel 2023. Un atteggiamento, ancora una volta, come quando ha voluto avvisare i partiti che lui “un lavoro è capace di trovarselo da solo”, un po’ troppo sopra le righe per un personaggio con il suo aplomb. Non molto da “nonno al servizio delle istituzioni della Repubblica”, come Draghi si era definito quando puntava in maniera evidente al Quirinale.

Proprio da lì, il premier sembra aver mutato il suo modo di proporsi. Con ogni probabilità, il mancato obiettivo l’ha infastidito più di quanto potesse pensare. E, sarà un caso, l’altro ieri Draghi se l’è presa proprio con quel Parlamento in cui è maturata all’oscuro e in contrasto con la volontà di molti capi partito la rielezione di Mattarella al Colle. Come se l’istituzione dopo anni di ridimensionamento e approfittando del principio per cui in politica ogni vuoto si riempie, avesse voluto riprendersi la scena. Da quel giorno le cose potrebbe essere cambiate e questo magari non sarebbe un male. Forse ha ragione Massimo Cacciari quando denuncia la crisi irreversibile del sistema dei partiti che esprime, attraverso l’azione del voto popolare anch’esso svilito dalla legge elettorale in carica, le assemblee legislative. Ma tutto questo, al netto degli attori sulla scena, determina una contrazione degli spazi di democrazia e apre la strada al “demiurgo” come forse è stato Draghi, ma anche Giuseppe Conte nella prima fase della pandemia. La politica, che dovrebbe servire a modellare i provvedimenti legislativi sulla popolazione, valutarne l’impatto e l’applicabilità, appare la grande assente.

Molti avevano previsto, dopo l’avvio del bis del capo dello Stato, ripercussioni sul governo dovute alle ricadute su alcuni partiti della maggioranza (Lega e Cinque Stelle in testa). E i nodi stanno arrivando al pettine. Ora c’è solo da capire quale sarà il destino della legislatura che rischia di non vedere la fine. E sarebbe un problema visto che al fuoco c’è ancora molta carne. Forse, se intende salvarla, però, Mario Draghi dovrebbe rassegnarsi a riconoscere l’esistenza e il ruolo del Parlamento e dei partiti in campagna elettorale e applicarsi nell’arte della mediazione che è connaturata con la politica ed altra cosa rispetto al mondo della Finanza, dove l’unico articolo che conta è il quinto: “Chi ha in mano i soldi ha vinto”. Ma questo è un altro ambito, appunto.

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