I funerali a Como
e l’apologo di Guareschi

I numerosi appassionati di Giovannino Guareschi conoscono certo il racconto, che è anche un apologo, della vecchia maestra. Per gli altri ecco una sintesi perché la storia contiene un apologo, più triste di quello originale, riferito alla città di Como.

La vecchia maestra del paese di don Camillo e Peppone, quella che ha insegnato a tutti almeno a leggere e scrivere a costo di pelare le zucche a bacchettate, sente che sta arrivando la fine. Allora manda a chiamare il parroco, don Camillo e il sindaco Giuseppe Bottazzi detto Peppone perché si rendano esecutori delle sue ultime volontà.

Tra queste c’è soprattutto il desiderio di essere seppellita, con un funerale all’antica senza carro e musica, con la “sua” bandiera appoggiata alla bara. Il problema è che la bandiera della maestra sarebbe quella con la croce bianca in campo rosso dei Savoia e, all’epoca in cui è ambientato il racconto, il referendum tra repubblica e monarchia non è molto lontano.

Peppone, nella sua veste istituzionale, sottopone il caso al consiglio comunale, dove tutti, anche le opposizioni non comuniste, si pronunciano per il no all’accoglimento della volontà della maestra. “Se voleva la sua bandiera, doveva morire prima”, dice anche qualcuno. Don Camillo, presente, assiste in silenzio. A un certo punto Peppone conclude il dibattito dicendo che la volontà del sindaco è quella di respingere la richiesta della maestra, ma poiché nel paese non comanda il sindaco ma i comunisti, lui, come capo dei comunisti accoglie la volontà della maestra che avrà il funerale come vuole lei perché, sottolinea il personaggio immortalato al cinema da uno straordinario Gino Cervi: “Io ho più rispetto di lei morta che di tutti voi vivi”. Don Camillo, interpellato, abbozza compiaciuto. E ancora una volta i finti nemici, figli del talento di Guareschi si trovano d’accordo perché nel paese in cui sono ambientati i discorsi “tutti rispettano i morti”.

Beato paese, diverso dalla città di Como. Ed è un peccato che non ci sia Peppone al posto dell’attuale sindaco. Perché, c’è da esserne certi, il meccanico Bottazzi, avrebbe emanato disposizioni meno rigide sui funerali, in cui, lo avete letto ieri sul vostro quotidiano, al morto non è consentita la vicinanza dei congiunti più stretti e neppure la benedizione del sacerdote (quale sarebbe la reazione di don Camillo può ben immaginarsela chi conosce il personaggio tratteggiato da Guareschi con il 45 di piede e due mani che sembrano badili). Certo il primo cittadino di Como, Mario Landriscina, è medico e certo, ha maggiori nozioni dell’umile meccanico Peppone. E forse ne ha pure l’assessore competente (sul significato del termine fate voi) Francesco Pettignano, lo stesso che ha lasciato che i camposanti cittadini si trasformassero in piccole savane prima che questo giornale, con l’insistenza di chi non è uso mollare la preda quando combatte per una causa giusta, glielo facesse notare. Pettignano, così intransigente stando ai fatti sull’interpretazione delle norme anti Covid-19 per i funerali (negli altri Comuni della provincia non va sempre così) è quello che da immemore tempo gestisce la pratica del forno crematorio cittadino che, al di là di roboanti proclami, rimane inagibile ancora per un po’. In conclusione: chi in questo periodo conosce la sventura di perdere una persona cara (e purtroppo a causa del virus non sono in pochi) se vive nel comune di Como non può dargli l’ultimo saluto e si ritrova poi a dover mandare chissà dove il congiunto per la cremazione, in attesa di ricevere l’urna con le sue ceneri. Se nel leggere questo passaggio vi sono venuti i brividi, tranquilli, non è il coronavirus.

Davvero un peccato, al di là delle simpatie politiche o clericali, che dalle nostre parti non siano disponibili un don Camillo e un Peppone. E che in Comune non si usi leggere Giovannino Guareschi.

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