Ma io voglio ancora
il vaccino “Calimero”

Chi scrive questo pezzo ha sempre avuto una particolare predilezione per i perdenti. E infatti tifa Inter, che in quanto a sconfitte, suicidi all’ultima giornata di campionato e fuga degli allenatori un secondo dopo aver vinto la Champions e un minuto dopo aver vinto lo scudetto non prende lezioni da nessuno.

Il perdente è una figura eminentemente letteraria, pedagogica come nessun’altra, perché in essa risiede tutto il sale della vita, che in fondo non è altro che un lungo cumulo di sconfitte, di occasioni perse e di delusioni, soprattutto, inframmezzata da brevissimi, fugaci e impalpabili attimi di felicità illusoria.

Se chi scrive questo pezzo volesse fare il fenomeno, direbbe che è proprio per questo che lo affascinano così tanto i personaggi di Cechov e di Gogol, ma forse è proprio per questo che lo intriga ancor di più la figura di Fantozzi, metafora imperitura, e molto più tragica che comica, di quello che non ce la fa, che non è capace, che non ha qualità né orgoglio né ferocia e che è destinato a perdere sempre, da sempre e per sempre. Una vera merdaccia.

È da qui che, da tempi non sospetti, è sgorgata la simpatia con la quale ha osservato le vicissitudini del vaccino fantozziano per eccellenza (e qui ci vorrebbe la voce di Villaggio): il famigerato AstraZeneca! E infatti, quando alla fine di maggio è arrivato il suo tanto agognato turno di vaccinazione, gli è venuto da sorridere quando il dottorino addetto alla anamnesi del suo caso prima lo ha avvolto in un florilegio di complimenti oggettivamente sospetto – “lei non ha patologie, non ha allergie, non ha intolleranze, non prende medicinali, è in forma smagliante, è sanissimo, non dimostra assolutamente i suoi 56 anni, ma complimenti, guardi che fisico, guardi che asciuttezza, guardi che elasticità e si vede che è un atleta, si vede che fa vita sana, si vede che ha rispetto del suo corpo, so che va sempre a correre la mattina presto, mens sana in corpore sano, e infine, diciamoci la verità, lei è anche un gran bel pezzo di ragazzo” - e poi, ignorando la ventisettesima modifica al protocollo ministeriale vigente in quel giorno, nel frattempo siamo arrivati alla quarantaduesima, che prevedeva Pfizer per gli under 60, è giunto alla sorprendente conclusione : “Lei è il soggetto ideale per l’AstraZeneca!”. Chi scrive questo pezzo ha avuto un attimo di perplessità – “ma insomma, non mi toccava quell’altro?” - però si è fatto sedurre dall’encomiabile, a tratti commovente, sforzo del dottorino per svuotare il frigo stracolmo del vaccino fantozziano. E poi come si fa a non voler bene alla pecora nera della famiglia? E allora l’AstraZeneca fu.

E con quale leggerezza di spirito, sempre chi scrive questo pezzo, ha sopportato nelle settimane seguenti i lazzi e i frizzi di colleghi, familiari e conoscenti attorno al malcapitato vaccino e a tutti quelli, tra cui lui, ai quali lo avevano rifilato: “Ma da bambino ti hanno dato l’AstraZeneca?”, “per chi mi hai preso, per il cugino dell’AstraZeneca?”, “mi sembrava una brava persona, non sapevo che si fosse fatto l’AstraZeneca”, “dicono che gli immigrati sui barconi ci attacchino l’AstraZeneca”, “pare che l’AstraZeneca se la sniffino peggio di zenzero e cocaina” e tutto il resto delle sapide leggende metropolitane che rendono davvero meraviglioso vivere in questi pazzi pazzi tempi moderni.

Adesso è cambiato tutto. L’AstraZeneca non te lo fanno più. Non solo ai più giovani, e per l’amor del cielo, avranno ragione loro, così come avranno senz’altro avuto ragione loro nei cinquantadue cambi di linea in questi mesi tragici e grotteschi. Ma non lo fanno più neppure a quei cinquantenni che si appropinquano tristemente alla soglia dei sessanta. E non è che lo sconsigliano, come facevano prima. Proprio lo vietano. In maniera imperativa, impositiva e perentoria, come ruggito dal mai così carismatico ministro della Salute nella conferenza stampa di venerdì.

Però a chi scrive questo pezzo non è che vada tanto bene. Innanzitutto perché farsi due vaccini differenti lo vive un po’ come mischiare vino bianco e vino rosso, non si fa mai a tavola, ma soprattutto perché si è affezionato al suo vaccino Calimero, davvero, quello che viene preso a calci da tutti, irriso da tutti, spernacchiato da tutti, sputazzato da tutti e che invece, nel suo piccolo, ha tirato fuori dai guai un’intera nazione come la Gran Bretagna, senza che nessuno si mettesse a piagnucolare per questo o per quello. E poi, è così bello fare la cosa contraria di quella che fanno tutti…

Quindi ora la resa dei conti è spostata a fine luglio. Il direttore sanitario della Asst tal dei tali sappia che quando chi scrive questo pezzo si presenterà al punto vaccinale tal dei tali il giorno x all’ora y – tutto già registrato, ma qui vige la privacy – non osi neanche lontanamente propinare al direttore del più autorevole quotidiano di Como, Lecco e Sondrio un Pfizer perché lui vuole, lui assolutamente vuole, lui inderogabilmente vuole il suo prediletto AstraZeneca. E sa già che il dottorino della prima anamnesi gli rigirerà deliziosamente la frittata - “lei non ha patologie, non ha allergie, non ha intolleranze, è in forma smagliante, è sanissimo eccetera eccetera e quindi le faccio un bel Moderna” - perché chi scrive questo pezzo, potete giurarci, lo rifiuterà. Ed esigerà il suo AstraZeneca, anzi, la dose più vicina alla data di scadenza delle migliaia e migliaia di fiale inevase che nessuno vuole più e che nessuno nemmeno propone più e che sono destinate a finire ai cavedani del lago o ai disperati del corno d’Africa.

Stia ben attento, il direttore sanitario tal dei tali, che se non gli fa l’AstraZeneca, chi scrive questo pezzo lo schiafferà in prima pagina e azionerà la più terribile delle macchine del fango, perché l’AstraZeneca è il suo nuovo idolo, il suo nuovo totem, il suo nuovo Dio e perché, come direbbe don Salvatore Conte in una scena di Gomorra, “l’omm ca se fa l’AstraZeneca nun ten’ paura ‘e nient’”.

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