
Il 10 giugno 2023 Silvio Berlusconi ha scritto una breve frase alla figlia primogenita che lo assisteva sul letto di morte: “Vedi, Marina, la vita è così: vieni, fai fai fai… e poi te ne vai…”.
E’ una riflessione di semplicità assoluta e al contempo di profondità clamorosa, devastante, degna di un filosofo greco, di uno stoico, resoconto esistenziale di chi ha vissuto come nessun altro, ha intrapreso come nessun altro, ha vinto come nessun altro, ma che poi, all’improvviso, si rende conto che tutto è già passato, che in fondo è come se non avesse vissuto affatto e che da lì a poco di tutto quello che è stato non resterà nulla.
Nessuno si sarebbe aspettato un testamento spirituale di questo genere da Berlusconi, personaggio divisivo come pochi altri, che ha rappresentato mille cose tutte assieme e il loro esatto contrario: geniale, spregiudicato, fanfarone, empatico, carismatico, arruffapopolo, seduttore, bugiardo, sciupafemmine, creativo, inaffidabile, condannato, generoso, filantropo, faccia di bronzo, visionario, arrampicatore, albertosordi, italiano, italianissimo e tutto il resto che volete voi, di bene e di male. Ma nessuno lo avrebbe mai pensato capace di una acutezza così perfetta una volta arrivato sull’orlo dell’abisso. Che pedagogia.
L’ossessione della fine. La paura della fine. Il terrore della fine. E quindi dell’ignoto, del niente, del nulla che ti avvolge e che avvolge anche chi crede. Perché siamo esseri umani e quando sei lì, hai paura. Paura e basta. E poi l’ossessione di essere dimenticato, di essere sgretolato dalla ruota indifferente del tempo. E quindi, appunto, l’ossessione del fare fare fare. Fare tanto e fare sempre. L’ossessione di lasciare un segno.
Eccoci al punto, lasciare un segno. Lasciare un segno che non si perda, un segno indelebile. Sono le ultime parole pronunciate da Giorgio Armani: “Spero di lasciare un segno…”. Se ci pensate bene, hanno lo stesso significato di quelle scritte da Berlusconi. E non è una coincidenza. Ora, la figura di Armani in questi giorni è stata giustamente celebrata con grandissima rilevanza da tutti i media, che hanno raccontato i dettagli di una formidabile avventura imprenditoriale e umana, grazie a interviste, interventi e ricordi di compagni, collaboratori, testimoni e anche, purtroppo, dello sterminato codazzo sciacallesco di servi, marchettari e miserabili che sempre si affolla attorno alla bara dei potenti e al quale non sembra vero di poter dire “io lo conoscevo bene…”.
Ma, come detto, il tema esistenziale forse più toccante è quello dell’aspirazione a lasciare un segno. E’ una cosa che a vent’anni non puoi capire. E neppure a trenta. Inizi a intuirla a cinquanta e poi, da lì in avanti, diventa un’urgenza, un’evidenza, un affanno, una condanna. Insomma, che cosa sto combinando qui? Che senso ha tutta questa baracconata? E allora fai e studi e lavori e coltivi le tue aspirazioni, le tue ambizioni, le tue frustrazioni, alimenti la tua piccola o grande carriera, la tua risibile e arrogante ansia di emergere e poi magari emergi pure, poco o tanto, tantissimo come Berlusconi, Armani e pochi altri come loro, pochissimo come quasi tutti gli altri, ma nonostante questo fai fai fai e pensi e ti arrovelli ed elabori piani e tattiche e strategie, magari fregando anche gli altri, soprattutto fregando gli altri prima che gli altri freghino te. E intanto la vita, con la sua falsa vaghezza, ti sfregia e ti strappa persone e affetti e intanto gli altri ti deludono così come tu deludi loro e proprio per questo - l’età avanza e ti senti soffocare - continui a fare e fai fai fai e continui a fare perché qualcosa resti nel mondo della politica, del calcio e della televisione o nel mondo della moda, ma anche nel piccolo e ridicolo mondo del tuo ufficietto, del tuo studiolo, della tua redazioncina. Imperativo calvinista. Angoscia subconscia. Fare fare fare. Lasciare un segno, lasciare un segno, lasciare un segno. Che incubo non fare mai la differenza, non essere mai speciale. E che incubo ancora più spaventoso fare la differenza, essere speciale e capire - la paura è l’unica vera intelligenza - che di te grand’uomo stimato e amato di lì a poco, conclusi i funerali, non rimarrà più niente. Come se non fossi mai esistito.
Terribile, vero? Quanto sono umani questi grandi personaggi quando li cogli nella loro fragilità emotiva, nella loro disperazione per la vita che fugge. Quanta paura rabbiosa e impotente avrà provato Flaubert quando in punto di morte ha urlato “Io crepo, ma quella puttana di Emma Bovary vivrà per sempre!” perché lui moriva e d’ora in avanti sarebbe stato solo un libro. Quanto è smisurata la nostra incredulità mentre ci stiamo godendo un giro della giostra così divertente e scintillante ed entusiasmante e all’improvviso capiamo che il giro sta finendo e la giostra ci sta riportando a terra, dove altri passeggeri attendono ansiosi di salire e tu non puoi fare altro che guardarli con invidia dicendo a te stesso “beati loro”. Anche perché sai che di giri sulla giostra ne puoi fare solo uno.
E così dura arrendersi. E’ così dura accettare di non essere indispensabili - nessuno è indispensabile, i cimiteri sono pieni d gente indispensabile - che sia stato tutto così veloce, incompleto, deludente e così disseminato di sprechi e di occasioni perdute. E’ così dura distaccarsi dal proprio “io”. E’ quello che ci frega. Esistere solo in funzione del proprio io e pensare che quell’io sia il centro non soltanto della propria vita, della propria famiglia o della propria professione, ma dell’intero universo. Che esiste perché “io” lo abito. E invece no. L’universo se ne frega di te, del tuo io e di tutto quello che fai e di tutti i segni che hai lasciato. Napoleone è una statua. E presto o tardi si sbriciolerà pure quella.
Alla fine, un giorno, saremo tutti morti. “Fare” non sarà servito a nulla. “Lasciare un segno” nemmeno. Da una parte, rimarrà solo la disperazione più nera, genio o nullità che tu possa essere stato. Dall’altra, la lezione di un grande cristiano come Bernanos: “La Grazia consiste nel dimenticarsi”.
@DiegoMinonzio
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