Tragedia a Roma per una sfida sui social. La parola all’esperto: «Adulti incoerenti. Il modello educativo è la vera questione»

L’intervista Matteo Lancini, psicologo e presidente della Fondazione Minotauro di Milano, esperto in dipendenze da internet durante l’adolescenza

Responsabilità: è una delle parole più pronunciate in riferimento alla tragedia avvenuta a Roma. Ma come imparare a esercitarla sui social ? Lo abbiamo chiesto a Matteo Lancini, psicoterapeuta e autore del libro “Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta” (Raffaello Cortina Editore, 2023).

In questi giorni si sta parlando soprattutto di “rischi del web” e il riferimento è rivolto sempre alle nuove generazioni. Lei come porrebbe la questione?

Non è un problema delle nuove generazioni, ma riguarda tutta la nostra società che è basata sulla visibilità e sulla popolarità. Non solo, tutta la nostra società si è ormai spostata su Internet, quindi porre il problema in questi termini - cioè come se fosse qualcosa che riguarda solo le nuove generazioni - è dissociante: siamo tutti su Internet, che è ormai parte integrante delle nostre vite.

Quindi come possiamo categorizzare quanto accaduto a Roma?

Come un avvenimento drammatico, naturalmente, dal quale però deve partire non una ricerca di colpe e di responsabili tra i giovani, bensì una riflessione profonda su quali siano i nostri modelli educativi.

Molti genitori però sono in difficoltà nel comprendere la vita dei figli sui social.

Certo, ma il modello educativo non può più essere quello attualmente in vigore, che è appunto dissociante. Non è possibile che i nostri figli vivano, come noi, una vita sempre online - “onlife” è l’espressione corretta - e che poi però gli venga imposto di non usare il telefono a scuola, di spegnerlo quando si è a tavola, di dimenticarsene quando affrontano l’esame di maturità. Non ha senso, se pensiamo che i genitori stessi passano il tempo a pubblicare foto e video di ogni aspetto delle loro vite. E ha ancora meno senso se pensiamo a quanto ormai Internet e i social siano integrati anche nelle nostre vite professionali. Il rischio è che gli adulti perdano credibilità agli occhi delle nuove generazioni, che non riescono più a identificarsi nei loro genitori.

Come si possono arginare fenomeni quali le “sfide” che circolano su TikTok e su YouTube e che mettono a rischio la vita di chi le realizza ma in certi casi anche di chi li circonda?

La domanda da porsi per farlo è una: siamo in grado di essere degli adulti coerenti? Non c’è bisogno di conoscere le sperimentazioni dei giovani per metterli in guardia, prenderli per mano ed educarli nella vita su Internet. Un genitore può anche essere all’oscuro di alcune dinamiche, ma è importante che invece che far spegnere il telefono a tavola e chiedere “com’è andata oggi a scuola?”, chieda ai propri figli “come va sui social? Cosa guardi?”.

Non togliere il telefono ai ragazzi, ma insegnare loro a vivere sui social nel modo corretto, quindi?

Sì. In fondo, oggi sono i genitori che continuano spingere i ragazzi a vivere dentro ai telefoni, perché così sembra che siano più al sicuro. Poi però quando succede qualcosa come l’incidente di Roma, scatta l’allarme. Ma non è colpa dei giovani, è semplicemente il segnale di una società che ha messo l’audience, l’individualismo e la popolarità come priorità. Vige la legge del “più grossa la fai, più sei visto”. E non solo sui social. Ciò che conta quindi è ripensare il sistema dei valori su cui la nostra società ruota. Occorre aiutare giovani e adulti a capire come creare e fruire buoni contenuti su Internet.

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