Como da lupi. «Con Meroni e Nico Paz, io sempre lì»

Super tifoso: arrivò a Como nel 1972 e da allora non perde un colpo. «Io in pullman con la squadra a Trieste, poi dirigente con Beretta.Volevo chiamare i miei figli Bruno e Matteoli. I funghi di Bersellini»

Si ricorda la prima volta?

E come no? Era il marzo del 1962. Como-Lazio.

Che ci faceva lì, Aldo Lupi? Lei è di Civitavecchia...

Ero appena arrivato a Como. Avevo 19 anni. A scuola non era andata benissimo, anche se ero un fenomeno in Italiano. Poi ero convinto di essere forte a calcio. Sognavo la serie A. Mio padre si trasferì a Como per lavoro e mi costrinse a seguirlo per cercare lavoro.

E come andò?

Facevo finta di cercarlo. Ma poi mi arrivò un’offerta dalla Gondrand, per via di conoscenze incrociate. Cominciai così, a occuparmi di spedizioni doganali. Ho fatto carriera, ho aperto una mia attività. Sono stato anche presidente dell’Albo per tanti anni. Non mi sono mosso più di qui.

E il Sinigaglia?

E.., dunque. Bighellonavo in giro, mi imbattei nello stadio e in quella partita. Io venivo dal Lazio, simpatizzavo più per la Lazio che per la Roma... insomma, anche per sentirmi un po’ a casa, andai a vederla. Mi ricordo i famosi pali della tribuna in mezzo alle gradinate. Comunque fu una partita decisiva per la mia vita. E per due ragioni.

Perché?

Primo, perché mi innamorai di Gigi Meroni, e vedendolo capii che non io avrei mai potuto fare il calciatore; secondo, perché entrai simpatizzante laziale e uscii tifoso del Como. E da allora non mi sono perso un campionato.

E’ ancora lì, in tribuna.

Fila 6. Ma per tanti anni fila 13. Eravamo io Renato Pozzi, Benito Gattei, Paolo Zerboni, Eugenio Roncoroni... Grandi amici. Ora sono rimasto solo io e la moglie del povero Zerboni. Teniamo duro. Gattei e Roncoroni preferiscono guardarla da casa, gli altri purtroppo sono scomparsi.

Per 35 anni, tutti i martedì al ristorante assieme.

E’ finita lo scorso anno. Venivano anche Priante, i Santambrogio e altri. Ma poi il nostro ristorante di fiducia ha chiuso per ristrutturazione, e ci siamo sfilacciati. Ma ho un altro appuntamento.

Quando?

Il giovedì con Todesco e Sinigaglia. Oh, Sinigaglia con Didonè è stato il più grande talento inespresso del Como. Fortissimi.

Ma lei senza Como non sa stare?

Eh già. Una malattia. Io sono un grande appassionato di sub, ho girato mezzo mondo per fare immersioni, ma all’ora della partita uscivo dall’acqua e telefonavo per sapere il risultato. Rispondevano direttamente dallo spogliatoio, Porro e Zerboni. Mi sono tanto divertito e ho avuto delle belle esperienze, forse perché non sono mai stato un tifoso normale. Ma grazie alla mia parlantina, al modo di fare, spesso ho avuto amici dentro la squadra. Ho cominciato presto.

Quando?

Il primo amico forse è stato Ciclitira. Dopo la carriera faceva l’autista e quando tornava dalla Francia mi portava le ostriche.

Poi?

Negli Anni Settanta, solo e ramingo, andavo a pranzo al ristorante Palma, in viale Geno, guarda caso dove andavano a mangiare quelli del Como. Il primo che conobbi fu Bersellini. Dopo tre o quattro volte che mi vedeva mangiare da solo, mi chiese: ti piacciono gli ovuli? E mi fece preparare una insalata maestosa di funghi. Lui era di Borgotaro, se ne intendeva.

Poi?

Correnti. Il mio preferito. La mia bandiera. Giocavo e allenavo la squadra della Dogana. Una sera giocavamo ad Albate, alzo gli occhi e vedo tutto il Como schierato a guardare la mia partita. Li aveva portati lì Correnti. E poi Marchioro. E questa è bella.

Dica.

Mangiavamo assieme al Palma e parlavamo di libri. Io sono un grande lettore, e lui era una bella testa. Allora un giorno mi fa: a Trieste vieni in trasferta in pullman con noi. Mi raccomando, tieni su la truppa con la cultura eh... Buonanotte: avevo il permesso di parlare ai giocatori, ma poi in realtà parlavo di tattica e sistemi di gioco. Arriviamo in hotel, e c’era una festa di Carnevale. Quel burlone di Pancheri si finse guardarobiere, si faceva consegnare i cappotti di quelli che andavano alla festa e poi li buttava tutti ammassati dietro un bancone. Beh era Carnevale, lo scherzo ci stava...

Altri amici.

Quando conobbi Zerboni per lavoro, lui mi avvicinò alla dirigenza. Così cominciai ad andare in trasferta con i dirigenti, ero uno della società. Fu bellissimo. Ho avuto tanti amici.

Tipo?

Hansi Muller. Veniva spesso a mangiare a casa mia. Un ragazzo d’oro. Ma un giorno mi ha fatto prendere un colpo. Mi ha detto, vieni che ti faccio vedere la mia nuova Mercedes. Avrà fatto la via del cimitero a 200 all’ora. Che strizza... Poi Marino Palese.

Il silenzioso centrocampista del Como nel 1984.

Era molto riservato, molto solitario. Mi ricordo che si sposò e c’erano solo due invitati. Ma si attaccò a me e mi telefonava sempre. Mi ci ero affezionato. Poi c’era il mio amico Tempestilli. Romani tutti e due. Ci intendevamo. A proposito di Tempestilli. Non farmi raccontare quella di San Siro.

Invece sì...

La famosa partita della neve, la vittoria contro il Milan. La mia seconda moglie stava per partorire, il ginecologo disse che ci sarebbero voluti ancora due giorni, e allora andai a San Siro. C’era Tempestilli in campo che aspettava anche lui un figlio e sarebbe nato uno o due giorni dopo. Va beh, torno dalla trasferta euforico per la vittoria e mi chiamano dicendo che i tempi si sono accorciati e mia moglie sta per partorire. Vado all’ospedale appena in tempo. Mi mettono in braccio mia figlia, la suora fa: come la chiamerà? E io: Bruno o Matteoli (i marcatori di San Siro, ndr).

Cinque anni di Serie A.

Portammo Dirceu al Birimbao, il primo ristorante brasiliano a Milano. Una sorpresa per lui. Arrivammo e quando lo videro fu la fine. Il titolare si inginocchiò ai suoi piedi, non lo mollava più, partì la musica, il trenino di qui, il trenino di là... Non mangiammo nulla.

Lei è stato anche dirigente.

Entrai in società un anno solo, nel 1994-95. L’anno di Beretta, Beltrami e Tardelli. L’anno che... ehm... scoprii Zambrotta.

Come?

Mi mandavano a vedere sempre la Primavera. Un giorno a pranzo con Tardelli, Porro e Beltrami dissi: guardate che Zambrotta è pronto. Dategli un’occhiata. Andarono a vedere Como-Milan Primavera, Zambrotta contro Coco. Tardelli finita la partita lo inserì nei convocati. Telefonai al papà di Zambrotta, che era un mio collega. “Tuo figlio domani va in prima squadra”. E lui “Aldo dai, non prendermi in giro...”. Non ci credeva. Poi mi regalarono una foto con dedica.

La partita della vita?

Quel Como-Lazio, quel Milan-Como e poi ci metto anche un Roma-Como in cui segnò Corneliusson, ero in mezzo ai romanisti, io parlavo romano, mi parlavano come se fossi tifoso romanista, stetti al gioco, segnò Dan, dentro mi esplose il Carnevale di Rio, ma fuori ero una sfinge. E uno mi urlava “Pareggiamo cor Como, te rendi conto...?”. E io zitto.

Sua moglie non viene allo stadio?

Ci è venuta due volte, e tutte e due le volte fra un po’ le prendo. A Firenze e a La Spezia: lei non è abituata allo sfottò, anche all’insulto folkloristico, così si girò verso chi sbroccava contro il Como urlando “Bifolchi”. Il finimondo. Era il playoff con gol di Colacone, tutti in maglia bianca spezzina in tribuna, solo noi eravamo a colori...

E i figli?

Io ho tre figli, da due mogli diverse. Matteo, dal primo matrimonio, adesso è tifoso. Ha fondato anche un gruppo in curva molto rock. Cesare e Marina meno.

Questo è il Como più forte di sempre?

Certo. Mentre guardavo Como-Lazio, non ci credevo. Mi davo i pizzicotti. Mai vista una cosa del genere. Proprio Como-Lazio, poi, dove tutto iniziò. Uscito dallo stadio volevo andare a puntare sullo scudetto...

Poi è arrivata Bologna-Como.

In effetti sono rimato un po’ così. Ma è presto per giudicare. E poi ho visto molte partite delle prime due giornate, e non c’è nessuno che gioca come il Como. Nessuno. Anche le grandi, titic titoc. Pazzesco.

E il clima allo stadio?

Bellissimo. Sono riusciti a cambiare il carattere dei comaschi. Adesso i “mai cuntent” sono molti meno, sono quasi tutti spariti. Certo, sono anche cinque anni che il Como vince spesso. Però non si brontola più come prima. Forse è davvero venuto il momento di veder decollare il progetto del nuovo stadio. O adesso o mai più.

Le piace Fabregas?

Come tecnico sicuramente. Bravissimo. Per me deve solo stare attento a certi atteggiamenti, certe volte è esagerato.

Dunque questo è il “suo” Como.

No, il mio Como è quello del salto in A dalla C del 1980. Quello era un Como quasi così divertente, ma aveva un pregio in più. Era una famiglia. Una famiglia aperta. Quell’aspetto adesso si è un po’ perso.

E Gattei lo sente sempre?

Certo. Presto andremo ancora a cena. E poi devo dargli l’olio delle mie parti che li batte tutti.Non c’è partita.

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