Dionisi: «Il gioco del Como? Idee e aggressività. Cesc non si snatura»

L’ex tecnico neroverde: «Ricorda il mio primo Sassuolo, con Raspadori trequartista tra le linee»

Ormai è una prassi. Quando si entra al Sinigaglia bisogna sempre dare un’occhiata verso le tribune per cercare qualche volto noto che puntualmente viene a vedere il Como. E così due settimane fa, nel match contro il Genoa, in tanti si sono accorti della presenza di Alessio Dionisi, ex mister di Empoli, Sassuolo e Palermo. In occasione della sfida odierna ai neroverdi, lo abbiamo incontrato per sapere cosa ne pensa della squadra di Fabregas e approfondire la sua idea di calcio.

Mister, l’abbiamo vista in tribuna a Como-Genoa? Come le sono sembrati i lariani?

Io parto dalla radice, ossia da una società diversa dalle altre. In Italia in questo momento pensare di riuscire a trattenere giocatori e allenatore di quel livello dimostra già qualcosa che non si può concretizzare altrove. Questo poi diventa una conseguenza di quello che si vede in campo, perché garantendo continuità tutti possono lavorare meglio. Seguo spesso il Como ma era la prima volta in presenza. Sono evidenti linee di passaggio, idee e qualità dei singoli.

Rivede in questo Como qualcuna delle sue idee?

Il sistema di gioco è lo stesso che facevamo noi al primo anno a Sassuolo, dove con il mio staff abbiamo potuto lavorare bene proprio perché si era data continuità al progetto. Non amo i paragoni, ogni squadra ha valori diversi. Posso dire però che lo smarcamento del trequartista, nel mio caso era Raspadori, è molto simile a quello che fa oggi Nico Paz: il giocatore che dalla seconda linea diventa interno di centrocampo e collabora sia alla fase difensiva che alla fase offensiva.

Sia lei che Fabregas avete debuttato in Serie A molto giovani. Aldilà dell’esperienza, cosa si paga all’inizio?

Anche se hai giocato a calcio non parti mai con una conoscenza totale quando sei allenatore, penso valga anche per Cesc che ha raggiunto livelli altissimi da giocatore. Io ho allenato dalla serie D fino al massimo campionato, ma il passaggio dalla B alla A è stato quello più faticoso, uno scalino enorme che non percepisci fin quando non sei con la squadra in campo. Fabregas è giovanissimo ma è bravo e lo dimostra. La cosa che mi piace di più del suo Como è il riuscire ad arrivare al risultato non snaturandosi.

Con Cesc vi siete mai incontrati?

Sono andato a vedere un giorno gli allenamenti del Como, quando lottava per salire in serie A. L’ho seguito e ho parlato sia con lui che con Ludi. Una giornata interessante. Ero andato perché si vedeva già qualcosa che non era comune. Riportare quell’idea di calcio in serie B poi è ancora più difficile. In serie A l’aspetto più complicato è la continuità, oltre a saper gestire la pressione. Il Como lo scorso anno aveva fatto un po’ di fatica all’inizio, ma l’allenatore è stato messo in discussione solo dall’esterno, mai dall’interno. La forza di una società si dimostra quando ti danno l’opportunità di lavorare anche se le cose non stanno andando bene. Perchè se il gruppo è sano e non si percepiscono malumori, i risultati poi arrivano.

Quando i giocatori sono giovanissimi, cosa bisogna fare?

Dare loro sicurezza e portarli a ripetere l’errore. Non è facile. A parole siamo tutti bravi, ma quando il giocatore sbaglia lo percepisce e gestire la situazione richiede pazienza. Se da un lato il calciatore giovane ha poca esperienza, dall’altra può darti quell’incoscienza che diventa coraggio il campo. Se dopo una prestazione non bella inizi a mettere i punti interrogativi sul suo valore raddoppi il danno.

Per una difesa solida, in fase di non possesso è meglio alzare subito il pressing oppure aspettare l’avversario?

La fase di non possesso dipende sempre dalle caratteristiche difensive della squadra a disposizione. Più hai possibilità di coprire la profondità, più puoi essere aggressivo perché non fai correre indietro gli attaccanti. Il Como cerca di tenere un baricentro alto. Mi colpisce una cosa in particolare, che piace a tutti ma fanno in pochissimi.

Cosa?

Quel tipo di riaggressione brutale che fanno, con la prima punta che dà il segnale e i centrocampisti che attaccano. Sia Morata che Douvikas appena perdono palla corrono indietro e non si lasciano superare con facilità, aiutando i mediani alla riconquista.

Nel suo Sassuolo cambiava lo stile di gioco offensivo a seconda della presenza di Scamacca o Raspadori. È un po’ quello che deve fare Fabregas con Morata e Douvikas?

Credo che siano tutti e quattro giocatori diversi. Raspadori può fare il trequartista e nel mio Sassuolo giocava così, con smarcamenti da interno di centrocampo. Scamacca invece è una prima punta molto fisica che attacca meno gli spazi rispetto a uno come Morata, è un finalizzatore. A me Douvikas piace tantissimo perché apre gli spazi, gli piace legare il gioco e penso che Fabregas ricerchi proprio questo dai suoi attaccanti.

Mister, la sua carriera è iniziata nelle nostre zone, a Olginate…

Sì, avevo 34 anni e non avrei mai pensato o avuto l’ambizione di arrivare in Serie A. Ma nemmeno in B a dir la verità... È capitato tutto un po’ per sbaglio, perché il mio obiettivo era allenare il settore giovanile, poi il direttore Galbusera mi ha proposto la prima squadra e da lì è partito tutto.

Come andò?

È durata poco, ma proprio per questo è stata doppiamente formativa. Venni esonerato dopo 6 partite. Poi mi misi sotto con tanta formazione, iniziai a vedere le cose da un’altra prospettiva.

I suoi maestri chi sono stati?

Pur avendo giocato in categorie basse, tutti mi hanno lasciato qualcosa. Se devo fare un nome dico Stefano Vecchi, che oggi allena l’Under 23 dell’Inter: lui mi ha dato una spinta per iniziare ad allenare. Ora faccio tesoro di questi mesi in cui non sto allenando per imparare il più possibile dai colleghi, anche da chi ha una visione diversa dalla mia, compresi quelli delle categorie più basse.

La “sua” partita è…

Ne ho diverse nel cuore. Concedimene una per categoria.

Iniziamo: in serie A?

Milan-Sassuolo. Giocammo a gennaio e finì 2-5. Venivamo da un momento difficile. Dovetti schierare due terzini sinistri, oltre a Bianco titolare che non giocava da tempo e Traorè che sapeva già di essere stato venduto.

Serie B?

Ne dico due. Empoli-Cosenza 4-0. Con quella vittoria sapevamo che saremmo saliti in Serie A. Per uno che l’ha vista sempre in televisione… Poi Perugia-Venezia 0-1. Eravamo alla fine del girone d’andata e c’erano tante voci su di me e la squadra. In quella partita abbiamo dato una risposta in campo che non scorderò mai. L’emozione più grande è stata quando il nostro capitano, Marco Modolo, è corso ad abbracciarmi.

Serie C?

Monza-Imolese, playoff di serie C. Vinciamo 1-3. Era il momento in cui nel Monza si affacciavano Galliani e Berlusconi. Eliminarli da sfavoriti è stato bello.

Chiudiamo con la D.

Dico Borgosesia-Cuneo 2-2. Questo era persino un risultato sfavorevole, perché con un successo avremmo vinto il campionato. Però segnava un biennio straordinario a Borgosesia, dove dovevamo salvarci e alla fine siamo andati a un passo dalla C.

Insomma, tante emozioni.

Si, quelle sono le stesse dalla D alla A. Quando arrivi in alto da fuori ti riconoscono uno status diverso, ma quello che sento dentro è uguale in tutte le categorie.

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