«Io scomodo, ma vincente. Che bel como, me lo godo»

Ninni Corda, due volte promosso: da allenatore prima e da dirigente poi: «La lettera di Angiuoni, io nascosto nella doccia, il telefonino in spogliatoio»

Che ci fa ancora qui?

Como è la città ideale dove abitare. L’ho sempre pensato, ma ero andato via per lavoro. Però dopo la seconda esperienza mi sono fermato. Appartamento vista lago. Una meraviglia.

E spettatore al Sinigaglia.

Non mi perdo una partita.

Che ne pensa?

Meraviglioso. Che si può dire di più?

Secondo lei di chi è il merito?

Sarebbe facile dire: i soldi. Invece per me no. Per me il merito è che il Como ha tre fuoriclasse nei tre ruoli fondamentali: Suwarso, Ludi e Fabregas. Passa tutto da loro.

E sul campo cosa le piace?

Un calcio a metà tra il possesso spagnolo e la verticalizzazione britannica. Un calcio diverso, qui in Italia. Il mio preferito? Caqueret. Quanto è bravo quel ragazzo.

A vedere lo stadio così cosa pensa?

Beh, facile pensare il paragone con i miei tempi. Una cosa tutta diversa, anche se anche noi abbiamo passato le nostre giornate gloriose ed emozionanti.

Tifoso del Como?

E come potrei non esserlo. Qui ho vissuto le mie esperienze più importanti e prestigiose.

Tutto iniziò con una lettera a sorpresa.

Como-Tempio 2-2, noi capolista del campionato, il Como di Angiuoni dietro. Dopo pochi giorni mi arrivò una lettera del presidente che mi faceva i complimenti, diceva che gli avevamo trasmesso sensazioni forti. Poi arrivò una telefonata che mi chiedeva se fossi stato disposto ad allenare il Como l’anno dopo. «Vengo a piedi», risposi. Ma Angiuoni disse che prima voleva che incontrassi Di Bari, e me lo mandò in occasione della partita di ritorno. Evidentemente tra i due c’erano già visioni diverse. Poi firmai.

Dopo due anni di serie D, arriva Corda, si porta i fedelissimi e conquista la promozione.

Anno bellissimo. Portai Cau, Demartis, Rais, Farrugia, Sentinelli. Mezzo Tempio. Vincemmo.

Però cominciarono i metodi di Corda. Allenamenti con rissa. Metodi da Full Metal Jacket. Squalifiche a nastro.

Sul campo ero così. Anche una maniera per sollevare i giocatori dalle proteste. Meglio se buttano fuori me che un giocatore. Quante partite nei distinti. Ma io dovevo stare in panchina, dentro la battaglia.

Lo ha detto anche Fabregas l’altro giorno. Cesc è uno che ha garra, oltre a tutto il resto?

Sa infondere motivazione, vuole gente che si butta nel fuoco per lui. Diventerà un grande allenatore. Anzi lo è già.

Nonostante la vittoria, andò via.

Di Bari e Angiuoni erano in guerra, Angiuoni mi voleva confermare, Di Bari no, forse perché a lui piaceva entrare nelle dinamiche tecniche, e con me non si poteva. Ho visto litigi clamorosi tra i due, anche dopo una vittoria. Vincemmo Coppa e campionato, ma non bastò. Rivetti decise di appoggiare Di Bari, Angiuoni finì in minoranza e addio Corda.

Una cosa di quel campionato che ricorda, al di là delle vittorie.

Che salvai la carriera di Lamanna. Dopo poche giornate, visto che era in panchina, anzi forse addirittura terzo portiere, voleva smettere di giocare. Me ne parlò la famiglia. Dissi di aspettare, che le cose dovevano maturare. Di punto in bianco lo lanciai titolare, e da lì ha fatto una bella carriera.

Nove anni dopo, riecco Corda a Como. Scelto come direttore tecnico.

Eh, non proprio...

Cioè?

La cordata che si presentò all’asta, e si aggiudicò la società, la misi in piedi io. Tutti a pensare che loro avevano scelto Corda, ma in realtà ero io ad aver scelto loro.

Come?

Conoscevo separatamente Nicastro, Felleca e Renzi. Con il primo avevo degli affari in comune, gli altri due li conoscevo perché avevo i rispettivi figli nelle mie squadre. Il figlio di Felleca giovanissimo in prima squadra, avrà avuto 15 anni.

E dunque?

Seppi che il Como era all’asta, li chiamai, li convinsi a presentarsi all’asta. Scegliemmo Angiuoni come uomo su piazza, per avere il polso della situazione. Portai quel fenomeno di Pruzzo, che era con me a Savona, per immagine.

Il bomber...

Diceva: non so se vinceremo, ma con Corda non si sbaglia un ristorante...

A Como dove va?

A Platea, dove andavo anche nelle esperienze passate. Sabato sera cenerò qui con Felleca, che verrà a vedere Como-Cagliari.

Conferenza stampa di acquisizione, Corda nascosto in un hotel.

Era meglio non farsi vedere, una certa “Como bene” non mi vedeva di buon occhio.

Ma il giorno dopo spuntò fuori come dall’uovo di Pasqua.

Nicastro avrebbe preferito aspettare, ma io e Felleca decidemmo che era il momento di svelarmi.

Più bella la vittoria da allenatore o da dirigente?

Tutte e due, ma preferisco la seconda. Più sofferta, perché dopo la delusione di Carate. Perché avevo pieni poteri, perché ho disegnato tutta la strategia, una vittoria ancora più mia.

Già: la delusione di Carate. Molti pensarono che il Como avesse venduto la partita...

Ah ah, che ridere. A che pro? Ma come si fa a pensare una cosa del genere? Dopo aver sputato sangue un anno? Mi viene una battuta: che invece di pensare che l’avevamo veduta, la gente doveva lamentarsi perché non l’avevamo comprata... Una , eh. Il Gozzano perse, e noi pareggiammo. E io me lo sentivo che il Gozzano avrebbe perso.

Tifosi inferociti.

Fu un’estate calda, vennero a parlarci. Giusto così.

L’anno dopo la vittoria. Con i suoi soldati: Anelli, Gentile, Borghese.

Erano la mia mano nello spogliatoio.

È vero che lei, che nella prima parte era squalificato, si nascondeva nella doccia dello spogliatoio per parlare alla squadra?

Beh... è capitato (ride, ndr).

È vero che piazzava un telefonino sul pavimento dello spogliatoio e lei parlava alla squadra dalla tribuna?

È capitato anche questo.

È vero che avevate delle guardie del corpo portate dalla Sardegna per creare un clima intimidatorio?

Avevamo delle guardie del corpo perché tutto fosse sotto controllo, nessun clima intimidatorio.

Ma una volta Borghese, entrato i campo per il riscaldamento, fece la pipì sulla panchina avversaria. Altro che clima intimidatorio...

Quella volta esagerò, e glielo dissi a muso duro.

Li sente ancora, i suoi soldatini?

Solo Anelli e Gentile. Con Borghese non ho più rapporti.

Per le vicende di Seregno, quando la scaricò?

Non si è comportato bene. Ma a Seregno avevo ragione io, e verrà fuori nel processo Accuse- scuse per non pagarmi.

Le risse in allenamento: è vero che qualche giocatore in lacrime lasciò la squadra perché non sopportava quel clima?

Noi chiudevamo la seduta di allenamento con una partitella in cui valeva tutto. Tipo il Calcio Storico Fiorentino. Accendeva l’autostima. Forse per qualcuno era troppo. Come Bovolon. Ma Cicconi, ad esempio, prima andò via ma poi tornò. Ci sono giocatori che mi ringraziano ancora adesso perché li ho forgiati.

Quando Ardito diede le dimissioni perché aveva scoperto che c’era lei, come la prese?

Ognuno è libero di prendere le decisioni che ritiene giuste. Mi spiacque, ma andammo avanti.

A un mese dalla fine del campionato, arrivò la attuale società. Vinceste con Gandler e Suwarso già in sella. Obiettivamente quanto ha sperato di poter restare?

Avevo capito che non sarebbe stato possibile. Ero troppo ingombrante. Per questo gli ultimi giorni furono un po’ malinconici, perché capivo che stava per finire. Con Gandler non c’era verso di poter pensare a qualcosa di diverso, anche se Verga cercò di perorare la mia causa.

Avevate capito che questa società era così potente?

No. C’era la percezione che fossero persone serie, con un bel progetto. Ma nessuno poteva immaginare che avrebbero fatto questo. Forse l’unico che lo aveva capito era Nicastro, ma mantenne anche lui il basso profilo.

Adesso Messina.

Una faticaccia. Tutte le settimane prendo l’aereo e vado a vedere la squadra. Serie D, con una proprietà australiana, gente che avevo conosciuto in altri ambiti. Una bella avventura, perché Messina è una piazza calda, che ha un passato importante anche in serie A, domenica c’erano quattromila persone. Dobbiamo salvarci, poi programmeremo il futuro.

Consulente vuol dire tutto e niente.

Inizio così, poi se ci saranno le condizioni cercherò di fare quello che ho sempre fatto.

Anche allenare nell’ombra. Come andò con Andreucci e Banchini?

Ho poco da dire. Dissi che Banchini era un ottimo secondo, e lo confermo.

Gabrielloni?

Ci sentiamo ancora. Andate a vedere le interviste: avevo detto che avrebbe potuto segnare in tutte le categorie. Un grande.

Fa ancora le passeggiate alle 5 del mattino?

No, adesso tapis roulant. E tanto padel, la mia nuova passione.

Ninni Corda, angelo o diavolo?

Io credo che alla fine la gente ricorda le vittorie. E con me si vince. E quando tornavo da avversario a Como trovavo striscioni di saluto e osanna. E questo mi basta.

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